Dopo anni di girovagare senza fissa dimora, all’inizio dello scorso ho trovato casa all’interno del mondo Google Pixel e, giorno dopo giorno, al netto di qualche piccola criticità comunque tollerabile, trovo sempre meno motivi per “ricominciare a cercare casa”.

Voglio quindi provare a raccontarvi le mie sensazioni, ciò che vivo nel quotidiano, ciò che (oggi) mi fa essere convinto di non volere cambiare aria. Fermo restando che nulla vieta che, prima o poi, qualcuno o qualcosa possa spingermi a cambiare di nuovo.

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Un Google Pixel sa come farti sentire a casa

Google Pixel 6 (trovate qui la nostra recensione e qui la riprova a 7 mesi dal lancio), il mio primo smartphone Made by Google dai tempi del mitico Nexus 5X, mi aveva già fatto capire che c’era del potenziale. Google Pixel 7 Pro (trovate qui la nostra recensione), preso da me alla fine dello scorso anno, mi ha fatto capire che Google c’era quasi.

Google Pixel 8 Pro (trovate qui la nostra recensione), che possiedo da qualche giorno, mi sta dimostrando che Big G ha fatto, finalmente, centro pieno al terzo tentativo, nonostante un SoC ritenuto dai più come “non all’altezza” (della concorrenza e del prezzo a cui lo smartphone viene proposto sul mercato).

L’importante è cercare di non partire prevenuti

In generale, sono abituato a passare da smartphone entry level a flagship in tutto e per tutto: di conseguenza, non parto mai pervenuto ma cerco di trovare la peculiarità o il senso di qualsiasi prodotto perché molti smartphone, a prescindere da quanto costano e da cosa offrono, ne hanno uno (o, meglio, dovrebbero averne uno).

Di potenza, tanto, tutti gli smartphone ne hanno ormai a sufficienza: prova ne sia il fatto che Snapdragon 8 Gen 3 e Apple A17 Pro risultino due-tre volte più performanti del Tensor G3 dei Pixel 8. All’atto pratico però, nell’uso quotidiano “standard”, quello che facciamo un po’ tutti (WhatsApp, telefonate, mail, i social più diffusi) le differenze non si possono praticamente percepire mentre, per forza di cose, chi utilizza lo smartphone per motivi specifici, probabilmente noterebbe la differenza, comunque risicata (ad esempio sui tempi di render di un video pesante).

A livello software, Android è lontano parente delle sue iterazioni iniziali

Il passaggio tra le varie interpretazioni di Android (intese come le varie personalizzazioni messe a punto dai produttori, come ad esempio la One UI di Samsung) non mi crea problemi, così come non mi crea problemi passare da Android a iOS (che per certi aspetti continua ad avere una marcia in più del robottino verde, anche se si sta molto androidizzando). Insomma, sono di mentalità “abbastanza aperta” da questo punto di vista.

C’è poi da dire che Android “stock” è (ormai) un lontano parente di quel sistema operativo per smanettoni, porta di ingresso nel mondo del modding, che ti costringeva a scegliere un produttore di terze parti per avere un’esperienza utente ben confezionata.

Google l’ha capito e nel tempo ha lavorato per rivoluzionare il tutto, apportando poi grossissimi cambiamenti a partire da Android 12. In seguito, con Android 13 prima e Android 14 poi, il colosso di Mountain View ha cercato di limare alcuni aspetti del sistema operativo, con l’obiettivo di rendere il tutto sempre più coerente e completo dal punto di vista delle funzionalità.

Nel panorama Android, i Google Pixel hanno quel “quid” in più

Come da tradizione, poi, sugli smartphone Pixel c’è un layer di cura aggiuntivo che, nell’esperienza di tutti i giorni, ti fa scoprire delle chicche vere e proprie capaci di strapparti un sorriso, nonostante un periodo storico in cui l’effetto wow passa per le “cazzate” (finora si tratta di questo) alimentate dall’intelligenza artificiale (sul fronte del software) e per lo spessore di uno smartphone pieghevole o i megapixel di un sensore fotografico (sul fronte dell’hardware).

A ogni modo, parlavo di chicche che strappano un sorriso. Ho usufruito della promo lancio che mi ha consentito di portare a casa in accoppiata con lo smartphone le Google Pixel Buds Pro (trovate qui la nostra recensione), cuffie che con l’ultimo aggiornamento rilasciato da Google sono diventate semplicemente incredibili (non che prima non lo fossero già). In precedenza usavo Pixel 7 Pro in accoppiata con le Pixel Buds-A Series (trovate qui la nostra recensione), scelte perché ritenute da me sufficienti (reputavo inutili, sbagliando, tutte quelle funzionalità esclusive delle Pixel Buds Pro).

Comunque. Vado per aggiungere il widget dell’app Pixel Buds (l’app companion per la gestione delle cuffie del colosso di Mountain View) sulla schermata iniziale del mio Pixel 8 Pro. Aggiungo un primo widget per le Pixel Buds Pro (che ho in colorazione grigio antracite) e l’icona raffigura le cuffie nella loro colorazione. Aggiungo un secondo widget per le Pixel Buds A-Series (che ho in colorazione verde oliva) e l’icona raffigura le cuffie nella loro colorazione.

A questo punto, per fugare i dubbi e trovare conferma del fatto che non fosse un caso il colore delle cuffie nelle icone corrispondente al colore reale delle cuffie, chiedo a un collega di aggiungere l’icona delle sue Pixel Buds Pro (in colorazione azzurro cielo) alla schermata iniziale e… già: anche nel suo caso, l’icona raffigura le cuffie nella loro colorazione reale.

Questa cura che si vede nelle piccole cose (alla fine sono proprio i dettagli a fare la differenza) passa anche dall’uniformità con cui si sposano tra loro animazioni, feedback aptici e suoni di sistema; il risultato è un tutt’uno che mi fa sentire a casa e mi fa capire che indietro non ci voglio tornare.

Android in salsa Pixel non è perfetto ma in futuro…

Certo, lungi da me lasciare intendere che Android in salsa Pixel sia privo di sbavature, perché bug ce ne sono tantissimi (il tracker ufficiale è pieno zeppo di segnalazioni), e siamo lontani da qualsivoglia perfezione: mancano inoltre alcune accortezze stupidissime, come la possibilità di abilitare il blocco dello schermo attraverso un doppio tap o un toggle (nel centro di controllo) per effettuare rapidamente lo switch della connessione dati tra due SIM.

Su questo fronte però, Google, con gli interi team di sviluppo di Android e dei dispositivi Pixel, lavora costantemente per rendere il tutto più funzionale, più armonioso e, soprattutto, più coerente. Le pagine di app e servizi stanno raggiungendo una coerenza grafica invidiabile che, si spera, sempre più produttori di terze parti possano scegliere.

A questo punto, con 7 anni di supporto (software e hardware) davanti a me, voglio solo rilassarmi e vedere dove arriviamo. E poi, si sa, i Pixel sono come il vino: più invecchiano, più diventano “buoni”. In attesa che arrivi qualcuno/qualcosa che mi spinga a salutare Google e ricominciare il mio viaggio.

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