Negli ultimi tempi si è parlato sempre più spesso delle batterie al silicio-carbonio, una tecnologia che promette (e in parte già offre) vantaggi concreti in termini di capacità energetica e ottimizzazione degli spazi; non è un caso infatti che alcuni brand, come HONOR e OPPO, abbiano già adottato questa soluzione sui loro dispositivi pieghevoli di punta, pur mantenendo un profilo ultra sottile.

Viene dunque spontaneo chiedersi, perché questa tecnologia non è già diventata lo standard anche su smartphone tradizionali dei vari produttori? La risposta, anzi le risposte, sono due e affondano le radici in questioni normative e tecniche.

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Il primo ostacolo per le batterie al silicio-carbonio è rappresentato dalle normative

Il primo e forse più evidente motivo ha a che fare con le regole di trasporto delle batterie ad alta capacità, in particolare negli Stati Uniti; secondo le normative vigenti, qualsiasi singola cella che supera i 20 Wh viene classificata come merce pericolosa, con tutte le conseguenze del caso per quanto riguarda la spedizione, l’imballaggio e i costo logistici.

Per avere un termine di paragone, come già visto a inizio mese, basti pensare che la batteria da 5.000 mAh del Galaxy S25 Ultra raggiunge già i 19,4 Wh, mentre quella del Pixel 9 Pro tocca addirittura i 19,68 Wh; insomma, siamo già molto vicini al limite.

A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi, perché i power bank da 10.000 mAh e oltre sono così diffusi? La risposta è semplice ma tecnica, la normativa si applica alle singole celle, non alla capacità complessiva del pacco batteria; finché ogni cella non supera i 20 Wh e l’intera batteria resta sotto i 100 Wh, il dispositivo può rientrare in una categoria d’eccezione riservata alle batterie più piccole.

Proprio per questo alcuni produttori, come OnePlus, hanno adottato un design a doppia cella (come nel caso di OnePlus 13 con i suoi 6.000 mAh) per aggirare il vincolo senza compromettere la capacità complessiva.

Il secondo limite è l’invecchiamento precoce

Ma c’è un altro motivo, ben più impattante nel lungo periodo, per cui molti produttori evitano di implementare le batterie al silicio-carbonio nei loro dispositivi: la durata nel tempo.

Un ingegnere intervistato da David Imel (citato nel podcast Waveform) ha spiegato che queste batterie tendono a invecchiare più rapidamente rispetto alle tradizionali agli ioni di litio, in particolare si osservano cali di capacità significativi già entro i primi 2 o 3 anni di utilizzo; il motivo? Il problema dell’espansione del silicio durante i cicli di carica.

Uno studio della Gachon University, in Corea del Sud, ha dimostrato che le batterie con anodo in silicio puro possono espandersi fino al 400%, le batterie al silicio-carbonio invece, pur rappresentando un compromesso più stabile, possono comunque triplicare il loro volume nel tempo, circostanza che in uno spazio chiuso e fisso come quello di uno smartphone rappresenta un problema strutturale tutt’altro che trascurabile.

In questo contesto si inserisce un caso emblematico, quello del Nothing Phone (3), il primo smartphone mainstream a montare una batteria al silicio-carbonio con un approccio ibrido: nella maggior parte del mondo il dispositivo viene venduto con una batteria da 5.150 mAh, ma in India viene ufficialmente dichiarata una capacità da 5.500 mAh. In realtà, la batteria è fisicamente identica in entrambe le versioni, si tratta solo di un limite software, pensato per rispettare le normative sulle batterie in alcune regioni, e poter al contempo contenere l’usura della batteria stessa nel lungo periodo.

Un’idea apparentemente banale ma molto intelligente, limitando la carica massima al 94% circa della capacità fisica, si riduce lo stress sull’anodo e si prolunga la vita utile della batteria, come già visto in passato su alcuni smartphone Nord di OnePlus.

Ovviamente, i limiti attuali non sono necessariamente definitivi, i problemi normativi potrebbero essere superati con nuove classificazioni internazionali o con l’adozione diffusa del design a celle multiple, mentre gli aspetti legati alla durata e all’espansione potrebbero essere mitigati con nuovi materiali o algoritmi intelligenti di gestione della ricarica.

Nel frattempo però, la tecnologia al silicio-carbonio resterà probabilmente confinata a prodotti di nicchia, o comunque a marchi disposti a sperimentare con approcci ibridi che ne sfruttano i vantaggi senza esporsi eccessivamente ai rischi.