Una recente sentenza della Corte Suprema di Cassazione (n. 1254/2025) ha stabilito che le chat di WhatsApp possono essere usate come prove documentali in caso di accertamenti fiscali da parte dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza.
Tale decisione rappresenta una svolta significativa nel mondo in cui le comunicazioni digitali vengono considerate nel contesto legale e fiscale. Andiamo a vedere cosa cambia per gli utenti e quali sono i requisiti affinché una chat venga considerata una prova valida.
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Le chat di WhatsApp diventano prove documentali per il fisco
La maggior parte di noi usa quotidianamente WhatsApp per scambiare con amici, parenti, colleghi di lavoro, qualsiasi tipologia di informazione, personale o lavorativa che sia. Da questa settimana, tutto ciò che scriviamo o condividiamo a qualcuno tramite WhatsApp potrà essere usato come prova documentale su supporto informatico per dimostrare operazioni finanziarie non dichiarate o evasioni fiscali.
Non è più necessario che le autorità abbiano attivamente intercettato la conversazione: anche uno screenshot di una conversazione (prontamente) cancellata può costituire una prova valida. Ci sono, tuttavia, alcuni requisiti da rispettare affinché una chat di WhatsApp possa essere considerata una prova valida:
- Autenticità della provenienza: deve essere possibile dimostrare “che il messaggio provenga da un dispositivo identificabile e che la trasmissione e la conservazione non ne abbiano alterato il contenuto.“
- Affidabilità e integrità del contenuto: il contenuto della chat verrà sottoposto a strumenti tecnici e perizie forensi che dovranno assicurare “che il contenuto non sia stato manipolato e rispecchi fedelmente la comunicazione originaria.“
Cosa cambia per gli utenti?
Per coloro che non hanno nulla da nascondere, ovviamente, non cambia nulla. In generale, la sentenza n. 1254/2025 (pubblicata il 18 gennaio 2025) della Corte Suprema di Cassazione ha un impatto significativo sui processi tributari, processi in cui le prove documentali sono considerate più attendibili/affidabili rispetto alle testimonianze.
Durante le ispezioni fiscali, gli inquirenti possono già controllare i dispositivi elettronici (come smartphone e computer) e, da un po’ di tempo, anche le chat di WhatsApp incriminate possono essere aggiunte all’insieme delle prove raccolte (esattamente come accade pe gli SMS).
Non è la prima volta che le chat vengono utilizzate come prove
La decisione presa dalla Corte di Cassazione si basa su precedenti sentenze, come la n. 170/2023 della Corte Costituzionale: in quell’occasione, venne stabilito che l’acquisizione di messaggi WhatsApp da un dispositivo sequestrato non fosse considerata come intercettazione (e quindi poteva esssere eseguita senza un’autorizzazione speciale).
Un altro caso di qualche anno prima coinvolge la Commissione Tributaria di Trento (sentenza n. 117/2016) che ha riconosciuto la validità delle prove ottenute dal computer del contribuente indagato, durante le verifiche fiscali condotte dalla Guardia di Finanza (che ha sottolineato esplicitamente, nel 2018, come sia possibile verificare i dispositivi elettronici dei contribuenti durante un’ispezione o un controllo fiscale).