Google Pixel 10 si candida ad essere il primo smartphone al mondo che garantisce l’autenticità di ogni singola immagine. In un contesto sempre più dominato dall’intelligenza artificiale generativa, il dispositivo rappresenta dunque una risposta concreta al crescente problema della disinformazione visiva. Ma come funziona il suo meccanismo?

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Il sistema “content credentials” del Pixel 10

Andiamo con ordine. Il Pixel 10 introduce un sistema innovativo chiamato “content credentials“, che funziona come una sorta di certificato di autenticità digitale per ogni fotografia scattata: quando si cattura un’immagine utilizzando l’app fotocamera del dispositivo, dunque, il sistema aggiunge automaticamente dei metadati speciali che dimostrano che quella foto è stata effettivamente scattata da una fotocamera reale e non è stata generata artificialmente.

Una simile tecnologia è un importante passo avanti nel settore della verifica dei contenuti digitali: ogni volta che l’utente scatta una foto in formato JPEG, il sistema incorpora infatti nell’immagine delle credenziali che ne attestano l’origine autentica, rendendo impossibile spacciare per reale un’immagine generata dall’intelligenza artificiale.

Tuttavia, le innovazioni che il Pixel 10 vuole apportare non si fermano alla semplice verifica dell’autenticità originale. Il sistema è infatti in grado di identificare e segnalare anche qualsiasi tipo di modifica successiva alla cattura dell’immagine, sia essa effettuata con strumenti di intelligenza artificiale che con software di editing tradizionali.

In questo modo, Google vuole garantire una trasparenza totale sulla storia di ogni fotografia. Se un’immagine viene ritoccata, modificata o alterata in qualsiasi modo, le credenziali digitali lo registreranno, permettendo a chiunque visualizzi la foto di sapere esattamente cosa è stato modificato e con quali strumenti.

Privacy e sicurezza per gli utenti

Uno degli aspetti più impressionanti di questa tecnologia è la grande attenzione nei confronti della privacy degli utenti. Google sembra infatti aver risolto uno dei problemi più complessi legati alla certificazione digitale, quello della tracciabilità indesiderata.

Il rischio principale di qualsiasi sistema di autenticazione digitale è infatti quello di creare involontariamente un modo per identificare l’autore di un’immagine anche quando questi desidera rimanere anonimo.

Facciamo un esempio. Immaginiamo il caso di un utente che condivide una foto di un bel panorama di Roma su Reddit mantenendo l’anonimato, e successivamente pubblica un’altra immagine sul proprio account pubblico di X. Se entrambe le immagini contenessero la stessa “firma” crittografica, sarebbe teoricamente possibile collegare l’account anonimo a quello pubblico, compromettendo la privacy dell’utente.

La soluzione architettata da Google è molto efficace: ogni singola immagine catturata riceve una chiave crittografica completamente unica e irripetibile. Pertanto, non esistono due foto con la stessa firma digitale, rendendo impossibile collegare immagini diverse allo stesso autore attraverso l’analisi dei metadati.

Il sistema genera dunque per ogni scatto un certificato digitale completamente nuovo, garantendo che la condivisione di un’immagine su una piattaforma anonima non possa mai essere collegata a un’altra foto condivisa pubblicamente, a beneficio della sicurezza degli utenti.

Ricordiamo inoltre come un altro aspetto molto interessante di questa tecnologia sia la sua capacità di funzionare completamente offline. Le credenziali digitali vengono infatti generate e incorporate nelle immagini direttamente dal dispositivo, senza necessità di connessione Internet, assicurando che la funzionalità sia sempre disponibile, indipendentemente dalle condizioni di rete, e che la privacy dell’utente sia ulteriormente protetta evitando qualsiasi comunicazione con server esterni durante il processo di certificazione.