Che il presidente USA Donald Trump abbia individuato nelle tariffe commerciali l’arma preferenziale per risolvere qualche problema di bilancio non è certo ignoto, così come non è più un mistero che abbia altresì scelto il settore tecnologico tra le mire dei propri super dazi.

Recentemente, infatti, l’inquilino della Casa Bianca ha annunciato una tariffa del 25% su tutti gli smartphone commercializzati negli Stati Uniti ma non assemblati nel territorio nazionale. Una mossa che Trump ha diramato tramite Truth Social e che sembra essere un tentativo ulteriore per internalizzare le produzioni del settore, sottraendo impianti e forza lavoro all’Asia.

Ma che cosa accadrà al mercato tecnologico mondiale? Quali saranno i cambiamenti a cui potremmo essere costretti ad assistere?

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Chi sarà colpito dai nuovi dazi di Trump

La misura tariffaria colpisce prevalentemente i grandi colossi tecnologici che hanno costruito le proprie fortune delocalizzando in Asia i propri processi produttivi. Dunque, a finire nel mirino dovrebbe essere principalmente Apple, che ha una dipendenza dalle fabbriche cinesi di Foxconn, così come Samsung, che concentra la gran parte della sua produzione in Vietnam e in India.

Il mercato, non a caso, ha reagito con prontezza. Apple ha contabilizzato una perdita di capitalizzazione di circa 70 miliardi di dollari nelle prime ore successive all’annuncio, con un calo del 3% delle quotazioni dei suoi titoli.

Cosa accadrà al mercato degli smartphone

Prescindendo per un attimo dall’impatto sulle singole società, e guardando più opportunamente all’intero mercato tecnologico, è evidente come l’implementazione di queste nuove tariffe abbia tutto il potenziale per trasformare la struttura dei prezzi. Un iPhone venduto attualmente a 1.000 dollari potrebbe infatti vedere il suo prezzo salire fino a 1.250 dollari, con un incremento del 25% che sarà trasferito sui consumatori finali.

Guai, però, a illudersi che il cerchio possa chiudersi in questo modo. Le implicazioni sul mercato tecnologico potrebbero infatti essere molto più gravi, come ricordano alcuni dei principali analisti. Dan Ives, analista di punta di Wedbush Securities, per esempio, ha stimato che un iPhone interamente assemblato negli Stati Uniti possa arrivare a costare fino a 3.500 dollari a causa dei maggiori costi di manodopera, di logistica e di infrastruttura. Uno scenario che finirebbe con l’essere difficilmente sostenibile per i consumatori e che potrebbe costare carissimo alla competitività della società di Cupertino.

Insomma, quello che emerge da tali considerazioni è che in questo momento il passaggio al made in USA non sia sostenibile. E non è nemmeno così facilmente perseguibile una nuova delocalizzazione dei mercati di sbocco, ambito su cui Samsung potrebbe peraltro avere una vita più facile grazie alle caratteristiche della sua gamma e dei suoi attuali processi produttivi (non a caso la compagnia sudcoreana sta potenziando i suoi impianti in India e, per aggirare le sanzioni, sta stringendo la morsa su altri Paesi dell’Asia).

In aggiunta a ciò, giova anche rammentare come le super tariffe di Trump potrebbero rallentare la necessaria innovazione nel settore, ostacolando gli investimenti e alterando gli equilibri nella catena di approvvigionamento. L’auspicio è, dunque, che dalle minacce non troppo velate non si passi alle azioni più concrete.