Ci eravamo lasciati a dicembre con un editoriale sull’isterismo da autonomia. Un paio di giorni dopo bussava alla porta il corriere con un Google Pixel 4. “Ci hai pure scritto un editoriale per auto-convincerti che l’autonomia non fosse un problema”, commentò in privato un collega che nel frattempo ha imboccato un’altra strada. Ciao Matteo!

In parte aveva ragione. Il mio Google Pixel 2 XL soffriva una vistosa crepa sul display ed inconsciamente sapevo che di lì a poco lo avrei mandato in pensione, quindi le valutazioni, compresa quella sulle dimensioni e di riflesso sull’autonomia, erano già in fase avanzata. Ecco ricostruito il contesto intorno a quell’editoriale che una “nuvoletta” di interazioni, tra pareri più e meno caldi, l’ha sollevata.

Questo pezzo invece nasce in un periodo tranquillo, virus a parte. Nel seguito vi spiegherò le ragioni che mi hanno portato a riporre nuovamente la mia fiducia su Google e cercherò di fornirvi una panoramica su quelli che ritengo essere gli aspetti peculiari del piccolino di Big G dopo circa tre mesi di utilizzo quotidiano. Naturalmente le opinioni discordanti sulle quali costruire un confronto sano non sono solamente ammesse, sono pure gradite.

Perché un “piccolino” come Google Pixel 4

Se avete seguito l’evoluzione della storia – mi riferisco al precedente editoriale – è probabile che questo paragrafo vi appaia superfluo. Per cui sarò estremamente conciso: ne avevo abbastanza delle dimensioni extra large di Google Pixel 2 XL. Cercavo maneggevolezza. Il sacrificio in termini di autonomia è stato addolcito dalla consapevolezza di poter contare sulla ricarica veloce in caso di attività fuori programma e dalla praticità della ricarica wireless nelle altre occasioni.

Google Pixel 4 tre mesi dopo: i miei focus

Oggi, e da qualche anno a questa parte, il mercato smartphone non offre molto a chi come me vuole sfuggire alla “dittatura” degli over sei pollici. Quindi non avevo molti modelli da valutare, ma in fondo mi andava bene così perché di Google Pixel 4 mi ero innamorato al lancio: difficile resistere all’estro della colorazione arancio a tiratura limitata, difficile rimanere indifferenti ai contrasti di tasto d’accensione e telaio, difficile dire che Google Pixel 4 non abbondi in personalità come – e forse più – delle generazioni precedenti. Ecco: del piccolino di Casa Google mi ha conquistato il carattere. E la filosofia insita in Google di snobbare le tendenze per inseguire il concetto di esperienza in modo ostinato, ossessivo.

Motion Sense

Filosofia evidente guardando la cornice sul display, enorme per far spazio a Motion Sense: una soluzione estetica anacronistica che ci porta indietro di alcuni anni, una soluzione “funzionale” future-proof a detta di Google. Mi reputo un tipo pragmatico, pressoché insensibile alle mode, per cui amo lo spirito con cui i progettisti con la grande G sul camice approcciano gli smartphone, e da buon appassionato ipersensibile alle “prime” di stampo tecnologico non ho saputo resistere al fascino del chip Soli – o di Motion Sense se preferite l’etichetta commerciale.

Dopo tre mesi potrei rinunciare a Motion Sense? Probabilmente no. Il sistema sblocca il telefono in modo fulmineo ed in qualsiasi occasione: luce ottima, pessima o del tutto assente non fa differenza, nessuna esitazione nemmeno con gli occhiali, con un casco o con lo smartphone non allineato al viso come quando si è stesi sul letto o il Pixel è in ricarica su un dock wireless da scrivania. Lo so, qualcuno obietterà che non c’è differenza con soluzioni meno complesse come un lettore di impronte. Osservazione errata: il chip Soli non ha paura delle dita umide o bagnate, o dei guanti. E questa possibilità, essendo io un motociclista, fa la differenza.

Fa la differenza, Motion Sense, anche in altri frangenti, come nel controllo a distanza della riproduzione musicale o nel ridurre il volume della suoneria nel momento in cui si avvicina la mano al telefono per rispondere ad una chiamata in arrivo o per stoppare una sveglia, ma è ancora acerbo rispetto alle sue potenzialità ed a Mountain View sembrano in ritardo.

Google aveva promesso di rendere più sicuro lo sblocco e di questo, oltre quattro mesi più tardi, non c’è che una timida traccia. Inoltre la complessità di Motion Sense, il cui sviluppo ha richiesto più di tre anni, meriterebbe altre espansioni che affianchino le “chicche” attuali. C’è tempo comunque, e anche così non va poi tanto male: nell’utilizzo quotidiano costituisce un plus non da poco ed è bello sapere che Google, pur lentamente, lavora per renderlo imprescindibile.

Display

Detto di Motion Sense, Google Pixel 4 è anche Smooth Display, denominazione utilizzata per identificare lo schermo con frequenza d’aggiornamento variabile fino a 90 Hz. Dopo tre mesi potrei rinunciare ai 90 Hz? Sì, dal momento che non stravolgono l’esperienza d’utilizzo. La frequenza va su automaticamente in condizioni di forte luce ambientale, per cui se come me utilizzate spesso lo smartphone al chiuso vi cambierà poco.

La gestione automatica è vitale per ridurre lo stress alla gracile batteria di Google Pixel 4, quindi non posso che appoggiare il compromesso. Fa senz’altro piacere apprezzare il cambio di passo all’aperto, ma il display si fa ricordare per altri aspetti come l’ottima resa cromatica o il punto di bianco adattato dalla UI alla luce ambientale grazie all’Equalizzatore ambientale, che si affida ad un sensore dedicato. È un’ottima unità, ma ritengo inaccettabile il fatto che molti Pixel 4 e Pixel 4 XL, nuovi o ricondizionati dalla stessa Google, presentino display macroscopicamente difettosi: va stretta la vite – di molto e mica da ieri – intorno ai fornitori.

Foto e video

La qualità video e fotografica di Google Pixel 4 è ai vertici, e non lo scopro certo io. Gran lavoro di Super Res Zoom, che grazie al teleobiettivo garantisce ottimi ingrandimenti ad uso social fino ad 8x, ma gran tirata d’orecchi per l’assenza della grandangolare: il software tende la mano con la modalità dedicata che svolge un lavoro egregio (Fotocamera – Altro – Foto sferica – Tipo: grandangolo), ma non può nulla per i soggetti in movimento e per i video.

cover posteriore Google Pixel 4 XL

La frase “si rimedia egregiamente con il software” proietta Google nel giardino dell’Eden e secondo me sta dietro la rinuncia, almeno per il 2019, ad un sensore ultra wide dedicato, ma lascia a piedi i clienti quando il rimedio è parziale come in questo caso: talvolta il narcisismo adombra l’approccio, lodevole, improntato sull’esaltazione dell’esperienza utente. Comunque la qualità generale è superiore a quella di Google Pixel 2 XL ma non ad un livello tale da far gridare al miracolo.

Sorprendente la cattura dell’audio nei video in condizioni limite come concerti o piazze molto affollate, ed è qui, a parer mio, che un top di gamma stacca non solo i prodotti di categoria inferiore ma anche quei concorrenti diretti che non hanno ricevuto le medesime attenzioni progettuali. I dettagli, ad alti livelli, sono determinanti.

Audio e feedback aptico

Menzione doverosa per due aspetti meno inflazionati di altri ma che a parer mio fanno la differenza: la qualità audio ed il feedback della vibrazione. In entrambi i casi pensavo fosse quasi impossibile far meglio di Google Pixel 2 XL, eppure il passo avanti oscilla tra il notevole ed il notevolissimo.

L’audio proveniente da Pixel 4 non ha perso nulla in coinvolgimento nonostante lo spostamento sul fondo di uno dei due speaker frontali, e stacca anni luce il predecessore in termini di qualità per via di risposte eccellenti ad ogni frequenza. Per il feedback aptico invece il passo avanti è meno straordinario ma comunque notevole: sarei sorpreso se un concorrente facesse meglio.

Le mie conclusioni su Google Pixel 4

Ciò detto, alla fine della fiera, se potessi tornare indietro manderei nuovamente in pensione Google Pixel 2 XL? Sì, perché al di là del display danneggiato (sostituirlo con un pezzo originale costa una follia!) e nonostante girasse, e giri tuttora, in modo più che disinvolto le sue dimensioni mi avevano stancato.

Se potessi tornare indietro, valuterei nuovamente l’acquisto di un Pixel? Sì, perché non potrei rinunciare alla maniacale cura per i dettagli che emerge incontrando l’esperienza Google, alla proattività ed alla coerenza dell’interfaccia ed a tutti quei segreti che rendono Pixel… così Pixel.

E infine, se potessi tornare indietro, acquisterei proprio Google Pixel 4? Sì, perché l’autonomia non rientra tra le mie priorità (e comunque le tre ore e mezza/quattro di schermo attivo di Pixel 4 mi vanno più che bene) ed il resto mi soddisfa appieno, come del resto avrete capito se siete arrivati a questo punto della lettura.

Mi auguro che la mia esperienza abbia fornito qualche spunto utile alle vostre valutazioni, e magari per qualche minuto abbia pure distolto la vostra attenzione dal momento storico che ci troviamo ad affrontare. Fatemi sapere la vostra nei commenti.

Nota: questo è un editoriale e, in quanto tale, rispecchia l’opinione di chi scrive senza voler assumere carattere di notizia oggettiva o di cronaca dei fatti. Esso è un articolo in cui vengono esposte le opinioni personali dello scrivente e, in quanto tale, non è oggettivo e può essere contrario all’opinione di chi legge. Invitiamo tutti i lettori a commentare tramite gli appositi strumenti nel rispetto del pensiero altrui.