Secondo uno studio, quasi il 90% delle applicazioni gratuite presenti sul Google Play Store condivide i dati degli utenti raccolti con Alphabet, la società sussidiaria di Google, e altre grandi compagnie.

Lo studio, effettuato dal Financial Times, ha subito portato alla risposta da parte di Google, che ha affermato come la ricerca non abbia tenuto conto di alcune funzioni generali delle applicazioni, e che quindi non dovrebbe essere presa in considerazione.

Oltre alla condivisione dei dati con Alphabet, quasi il 43% delle applicazioni condivide i dati degli utenti con Facebook, mentre una buona percentuale viene condivisa con colossi come Twitter, Verizon, Amazon e Microsoft. I dati raccolti comprendono età, genere, posizione e informazioni sulle altre applicazioni installate sugli smartphone degli utenti.

Frederike Kaltheuner, un’esponente della Privacy International, ha dichiarato che la situazione è ormai fuori controllo e che è diventato impossibile per gli utenti sapere come i loro dati vengano utilizzati dalle compagnie. Google in tutta risposta ha ribadito che ci sono specifiche linee guida sul trattamento dei dati cui gli sviluppatori devono sottostare e che se un’applicazione le viola vengono presi dei provvedimenti.

Com’è risaputo, la raccolta dei dati personali serve a tracciare il profilo di un determinato utente per rispedirgli poi pubblicità mirate sulla base degli interessi personali. Nei soli Stati Uniti questa pratica pubblicitaria genera quasi 59 miliardi di dollari l’anno.

Molto spesso queste pubblicità mirate vengono viste dagli utenti come invasive e, sempre secondo Kaltheuner, non si tratta più di mostrare pubblicità mirate ma soltanto di trovare un modo per portare al massimo i profitti. In ogni caso Google non si trova d’accordo con questa ricerca, dalla quale si discosta completamente.

Voi cosa ne pensate?