Gli smartwatch, mossi da Wear OS o da sistemi operativi proprietari, sono ormai diventati parte integrante della nostra quotidianità; tali dispositivi ci consentono non solo di effettuare tutta una serie di operazioni come l’interazione con le notifiche del nostro smartphone, ma ci permettono anche di tenere traccia e di rilevare tutta una serie di parametri inerenti al nostro benessere, alla salute e alle attività fisiche svolte.

Se per quel che riguarda gli smartwatch equipaggiati con sistemi operativi proprietari l’autonomia non è un grosso problema, questi dispositivi infatti garantiscono solitamente svariati giorni di autonomia, non si può dire altrettanto per quelli mossi da Wear OS, il sistema operativo sviluppato da Google per gli smartwatch. Per quanto in questa categoria ci sia meno scelta, i dispositivi validi non mancano ma sono tutti accomunati da un’autonomia quasi sempre non all’altezza, o comunque a stento sufficiente a garantire un utilizzo a 360 gradi senza preoccupazioni.

Giusto ieri però, abbiamo visto insieme il nuovo OnePlus Watch 2 (qui la nostra recensione), lo smartwatch dell’azienda cinese arriva sul mercato con l’intenzione di sbaragliare la concorrenza grazie ad una caratteristica finora inedita ma che, nel prossimo futuro, si spera possa essere adottata anche da tutti i concorrenti: il dispositivo, nonostante l’utilizzo di Wear OS, è in grado di garantire un’autonomia di circa 100 ore (ovviamente tutto cambia in base all’utilizzo), ecco spiegato come.

L’interfaccia ibrida di Wear OS permette di estendere notevolmente l’autonomia degli smartwatch

Come anticipato in apertura, OnePlus Watch 2 rappresenta il primo esempio concreto dell’implementazione dell’interfaccia ibrida di Wear OS: lo smartwatch è equipaggiato con due processori, il Qualcomm Snapdragon W5 e BES2700 (quest’ultimo per le operazioni a basso consumo), ma vanta al contempo l’implementazione di due sistemi operativi, Wear OS e RTOS.

Il dispositivo prediligerà l’utilizzo del processore a basso consumo energetico (e del sistema operativo dedicato) per espletare la maggior parte delle operazioni, chiamando in causa il chipset dedicato alle prestazioni e Wear OS solo per alcuni compiti; tutto ciò avviene in maniera automatica, senza che vi sia necessità da parte dell’utente di fare nulla.

Lo smartwatch in questione utilizzerà dunque RTOS per funzioni quali monitoraggio della salute, home screen, tracking delle attività sportive, chiamate, UI, mentre farà riferimento al sistema operativo sviluppato da Google per permettere l’interazione con le notifiche o per eseguire applicazioni.

La maggiore autonomia che OnePlus Watch 2 può vantare rispetto alla concorrenza non è dunque strettamente dovuta alla batteria da 500 mAh, quanto più all’adozione dell’interfaccia ibrida di Wear OS; è la stessa Google a spiegarne il funzionamento con un post dedicato sul blog degli sviluppatori: il processore più potente rimane inattivo fino a quando non è assolutamente necessario, lasciando al processore meno potente il compito di gestire tutte le operazioni che richiedono un minor dispendio energetico e prestazionale.

Il funzionamento del nuovo sistema ibrido si basa su un’interfaccia di sistema costituita da un apposito set di API, le quali permettono al sistema di inviare e ricevere senza problemi determinati tipi di dati a qualunque RTOS sia disponibile sul chipset secondario; le API in questione si dividono in tre categorie:

  • visualizzazione -> permettono di trasferire alcune responsabilità di rendering del display al processore a basso consumo
  • servizi sanitari -> consentono di scaricare funzionalità come il monitoraggio preciso dell’allenamento, il riconoscimento automatico degli sport e il monitoraggio dei dati sanitari sull’MCU
  • notifiche -> permettono di scaricare l’elaborazione delle notifiche in parallelo al processore a basso consumo

Nell’esempio mostrato da Google potete vedere come lo smartwatch utilizzi il processore MCU a basso consumo energetico per consentire la visualizzazione delle notifiche, nel momento in cui l’utente voglia interagire con esse, magari per rispondere, entra in gioco il processore AP dedicato alle performance che si farà carico di gestire le operazioni, il tutto in maniera totalmente automatica nonché all’insaputa dell’utente, che non noterà alcuna differenza nel funzionamento.

Insomma, Google sembra aver avviato una collaborazione con diversi partner hardware già da qualche tempo (OnePlus rappresenta quindi il primo produttore a lanciare un dispositivo con questo approccio), nel tentativo di estendere notevolmente l’autonomia degli smartwatch mossi da Wear OS; è lecito aspettarsi nel prossimo futuro che anche altri brand adottino l’interfaccia ibrida in questione, magari apportando alcuni cambiamenti e migliorie in base all’hardware del dispositivo di turno, aumentando contestualmente il numero di dispositivi mossi da Wear OS, che non costringerà più gli utenti ad effettuare tutta una serie di rinunce per arrivare a sera senza dover ricaricare il proprio smartwatch.

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