Si è da poco concluso il grado di giudizio d’assise del processo che vede Apple attaccare Samsung su varie questioni di brevetti di design. Il verdetto è stato, com’è noto, nettamente a favore di Apple, che si è vista assegnare danni per oltre un miliardo di dollari, secondo quanto stabilito dalla giuria.

 

Si è già detto molto su questa sentenza. In rete si sprecano i pareri, tra quelli più tecnici a livello tecnico e giuridico soprattutto di preoccupazione per il fatto che, dopo brevetti e copyright, ora sarà possibile attaccare legalmente sulla base del trade dress e del look & feel dei propri prodotti. Si tratta sempre del frutto del lavoro intellettuale di esperti, ma non sono invenzioni, l’oggetto principale dei brevetti e della loro funzione.

In secondo luogo, c’è la perplessità nel vedere sempre più processi per violazione di proprietà intellettuale venire decisi da una giuria popolare. Il motivo è piuttosto semplice: statisticamente, i giurati sono molto favorevoli nei confronti dei possessori di brevetti, e molto generosi (di un rapporto anche di 10 a 1 rispetto alle delibere dei magistrati) nell’assegnazione dei danni da violazione. A questo aggiungiamo il fatto che il processo si è svolto a Silicon Valley, con una grande realtà americana contro un’azienda straniera, e per giunta in tempi di crisi economica, e si dipinge facilmente un quadro aprioristicamente a favore di Apple.

Ma, soprattutto, le giurie popolari sono, giocoforza, molto poco preparate tecnicamente, sia a livello giuridico, sia tecnico. Ed essendo i brevetti un argomento molto tecnico, soprattutto nell’ambito tecnologico, i giurati non potranno che avere idee confuse in merito e si affideranno ad una naturale tendenza a vedere delle violazioni. A tutto vantaggio dei possessori dei brevetti.

In particolare, in questo processo ha sorpreso molti il fatto che la giuria sia giunta ad un verdetto unanime dopo appena tre giorni di assemblea. Tre giorni per rispondere ad oltre 100 pagine di istruzioni che molti esperti legali, a detta loro, avrebbero impiegato non meno di una settimana per comprenderle. Com’è stato possibile questo “miracolo”, da parte di persone non competenti in materia?

Il capogiuria Velvin Hogan ha cercato di giustificare questo fatto in un’intervista apparsa su Youtube. Ma se il suo intento era quello di placare le polemiche, la mancanza di conoscenze tecniche che ha espresso ha avuto l’effetto contrario. E questo nonostatante Hogan possieda a sua volta un brevetto.

Nel processo che vedeva Oracle all’attacco di Google, che non prevedeva una giuria popolare e si è concluso, com’è noto, con la totale disfatta di Oracle, la compagnia di Mountain View era riuscita a rendere inoffensivi gran parte dei brevetti su cui si basavano le accuse di Oracle a forza di argomenti tecnici e di casi di prior art, cioè di esempi in cui tecnologie simili erano già comparse al grande pubblico. Nel processo di Apple contro Samsung, nonostante la casa coreana abbia portato un corposo bagaglio di prior art, nessun brevetto di Apple è stato invalidato. Non il design di “rettangoli con angoli arrotondati”, non il pinch-to-zoom, non l'”effetto elastico” quando si raggiunge la fine di un elenco. Possibile che Samsung abbia giocato così male le sue carte?

A quanto pare no, e la risposta sta in un semplice e banale fatto: la giuria non ha capito cosa fossero le prior art. Dall’intervista di Hogan, egli ha affermato: “Il software di Apple non poteva essere messo nel processore della prior art e viceversa. Questo vuol dire che non sono intercambiabili. Ciò ha cambiato tutto a riguardo.” Ma una prior art non implica affatto la possibilità di eseguire il software su piattaforme diverse. Non implica nemmeno che debba essere eseguito: basta anche solo un disegno di un foglio di carta per delineare una prior art.

Se questo era il loro concetto di prior art, alla stessa stregua Samsung non ha violato alcun brevetto, perché i telefoni in questione sono tutti Android e non possono eseguire software per iOS.

Questo può aver profondamente minato l’equità del processo, insieme alla conclamata intenzione di mandare un messaggio a Samsung piuttosto che stabilire una reale compensazione dei danni, dando sempre più l’idea di un processo non avrebbe mai dovuto aver luogo.

Non ci resta che aspettare i successivi gradi di giudizio del processo, cui sicuramente arriveremo in base dichiarazioni di Samsung stessa. Il processo di appello, però, non avrà una giuria e non si svolgerà a 10 miglia dalla sede della Apple. Credo che ne vedremo ancora delle belle.

[Via Groklaw]