Dietrofront. Il Google Pixel 5 raccontato in queste ore dalle fonti più affidabili inverte parte delle direzioni imboccate negli ultimi quattro anni.
Di fronte al gradimento del pubblico per la semplicità di Pixel 3a e alla freddezza nei confronti dell’ambizioso Pixel 4, Google probabilmente ha dovuto gettar via la maschera e fare autocritica. Così a Mountain View devono aver preso in mano un Google Pixel 4 e sciorinati i punti critici. Le dimensioni sono giuste, si sono detti. Ma l’autonomia non è sufficiente, c’è una fotocamera sbagliata, il design, specie sul fronte, sa di già visto e il prezzo è fuori fuoco.
Via pure Motion Sense, il primo radar su smartphone, malgrado la mole di lavoro che si è resa necessaria per il suo sviluppo avrebbe meritato più di un anno di carriera. Un progetto intrigante che tuttavia non ha mai capitalizzato le potenzialità della vigilia. Risultato: gli ingombri e la complessità di Motion Sense hanno gravato sul prezzo di listino e sul design con un cornicione d’altri tempi sullo schermo a fronte di vantaggi modesti, ridotti allo sblocco col volto sicuro ed un paio di gesture che avrebbero dovuto essere integrate ma che sono rimaste quelle del lancio. Un po’ poco, uno spreco.
Rinunciare a Motion Sense significa recuperare terreno in termini di consumi, ingombri e costi ma pure massimizzare la porzione della superficie frontale occupata dal display, attualizzando così il design dello smartphone migliore di Google. Bocciatura pure per il lettore di impronte sotto lo schermo, che non è preciso quanto un lettore fisico e complica la progettazione incidendo anche sui costi.
Via, infine, la fotocamera zoom per quel pass per i nostri giorni che è la grandangolare, sebbene non capiremo mai quale precetto impedisca di mettere sia una “tele” che una ultra-wide.
I due assi con cui Google può rivoltare i Pixel rosicchiando quote ad Apple
Tranne l’ultima, tutte queste scelte ormai praticamente definitive sono percorse dal medesimo filo conduttore: la riduzione dei costi e di riflesso del prezzo di listino. Su cui ancora non sappiamo nulla, ma che è la prima delle due carte rimaste ancora nelle tasche di Google per dare un senso compiuto e durevole all’ennesima rivoluzione.
Se Pixel 5 arrivasse ad un prezzo ben più attraente dei 799 dollari / 759 euro di Pixel 4, Google avrebbe la possibilità concreta di volgere in positivo anche i giudizi più aspri su un percorso a zig-zag quale quello dei Google Pixel. I 499 dollari, cifra ufficiale, a cui sarà proposto Google Pixel 4a 5G riducono tuttavia i margini di un’operazione di questo tipo: quanto dovrebbe costare Google Pixel 5 per essere un prodotto quasi irresistibile che allo stesso tempo non cannibalizzi il medio di gamma?
La seconda carta verte sugli aggiornamenti. Google è stata tra le prime aziende a garantire tre anni di aggiornamenti nel panorama Android, tirando a sé nel giro di qualche tempo un partner come Samsung che solo di recente si è allineato a quello che non è ancora, ma a questo punto lo sarà a breve, il nuovo standard di supporto.
In fatto di aggiornamenti il riferimento è Apple che ne assicura cinque, riuscendo così a giustificare parte dell’investimento-monstre richiesto agli affezionati alla mela. “Il telefono costa, lo sappiamo, ma puoi star certo che per cinque anni la tua vita digitale sarà al sicuro e ti daremo un sacco di novità”: la spesa per un iPhone si può quindi ammortizzare su un ciclo vitale più ampio, e questo è uno dei fattori che spinge i clienti a chiedere uno sforzo in più al portafogli.
Google vive di beni immateriali e, come scritto due anni fa su queste pagine, può approcciare i beni materiali come una passerella per il suo software. Perché quindi non abbandonare una volta per tutte la maschera e trasformare definitivamente i Pixel in una locomotiva, perché non farne degli ambasciatori per il sistema operativo Android?
Per “fare la guerra” ad Apple serve un contingente compatto dei soldati migliori. Se i Samsung, gli Xiaomi, i OnePlus, spinti da Google, offrissero cinque anni di “garanzie” verrebbero percepiti dal pubblico come un’alternativa più forte alla mela, finendo per erodere quote di mercato alla corazzata di Cupertino in misura maggiore di quanto fatto finora. Certo, non sarebbe una passeggiata convincere Qualcomm a supportare i chip per un tempo più lungo, ostacolo che Apple non ha dal momento che produce i chip che utilizza.
Ma Google può e deve fare un tentativo per il bene di Android, e un fronte compatto dei produttori può aiutare ad avere maggior potere contrattuale nei confronti del chipmaker americano. Google nelle vesti del giostraio potrebbe condizionare il panorama Android facendo crescere quello che, a differenza dell’hardware, è sì uno dei suoi business principali. Rosicchiando quote di mercato ad Apple Google rimpolpa il proprio ecosistema. Porta clienti alla sua fiera di app e servizi traendone un beneficio economico.
Le anticipazioni sui Pixel 5 indicano quanto Google sia vicina all’ennesima rivoluzione in pochi anni. La nuova ambizione è priva di orpelli e punta alla semplicità. Per non renderla solamente l’ennesimo tentativo di anni confusi è necessario dare continuità ad un progetto che non ne ha mai avuta, rendere attrattivo il brand Pixel attraverso un prezzo aggressivo e un vantaggio competitivo come il supporto software per cinque anni che la concorrenza Android non può ancora permettersi. Google deve farlo, per far decollare i Pixel, far vincere Android e far sorridere le sue casse.