In occasione dell’evento “Made by Google” che si è svolto ieri sera, con la presentazione di numerose novità da parte del colosso di Mountain View, i colleghi di The Verge hanno avuto modo di intervistare Sundar Pichai, CEO di Google, e Rick Osterloh, vice presidente della divisione hardware di Big G.

La chiacchierata con Sundar Pichai ha riguardato principalmente l’intelligenza artificiale, uno dei punti ricorrenti dell’evento di ieri sera. Secondo il CEO di Google, molti produttori si limitano a pensare a come integrare un sistema AI nei loro dispositivi, mentre l’approccio adottato a Mountain View è radicalmente diverso.

Google pensa a come l’intelligenza artificiale possa migliorare un prodotto e parte da zero nella sua progettazione, senza dover necessariamente ricorrere al cloud per sfruttare il machine learning. Un esempio è la nuova Google Clips, che agisce in locale decidendo in completa autonomia, grazie ai suoi algoritmi, quando girare dei brevi filmati.

La sfida più grande è quella di riuscire a utilizzare l’enorme mole di dati su cui può contare Google, grazie all’enorme base installata, per migliorare le nostre vite, con soluzioni eterogenee. Un esempio è la funzione che permette a Google Maps di segnalare i parcheggi liberi, basata su una serie di algoritmi e non su un collegamento con tutti i parcheggi della zona.

Secondo Pichai c’è ancora molta strada da fare sotto tutti i punti di vista, a partire da quella privacy che viene menzionata ogni volta che si parla di Google. Secondo Pichai l’intelligenza artificiale dovrebbe gestire diversamente le informazioni legate alla salute, molto più appartenenti alla sfera privata, rispetto ai ristoranti visitati con i propri amici, anche se per questo servirà, almeno per il momento, un intervento umano.

Nei prossimi anni cresceranno le soluzioni di on-device machine learning, grazie a un framework aperto fornito da Android, che aiuterà a gestire in maniera più sicura il concetto di privacy.

Dal canto suo Rick Osterloh ha confermato che le intenzioni di Google per quanto riguarda il mercato hardware sono serie e dopo il “timido” debutto dello scorso anno, la compagnia californiana ha voluto ribadire il messaggio. L’acquisizione di parte del team di ingegneri di HTC ne è una prima conferma, e servirà a rafforzare la posizione di Google nel settore degli smartphone.

Niente a che vedere dunque con l’acquisizione di Motorola, visto che in quel caso l’interesse era soprattutto per il portafoglio brevetti, mentre con HTC le cose sono partite in maniera diversa. L’obiettivo di Google non è quello di sfidare colossi come Samsung, visto che per il momento punta a un mercato abbastanza ristretto, quello dei top di gamma molto costosi.

A differenza della gamma Nexus, che non era pensata per generare elevati volumi di vendita, la line Pixel dovrebbe portare numeri ben più consistenti, grazie anche a una diversa politica di marketing: entro cinque anni infatti Google vuole far diventare molto importante il business legato ai propri smartphone.

Al momento Google non sembra intenzionata a realizzare autonomamente i propri chip, come fa invece Apple, ma preferisce lavorare a stretto contato con Qualcomm per sviluppare nuove tecnologie che vanno al di là della potenza bruta delle CPU. La legge di Moore ormai non è più applicabile e devono intervenire nuove variabili, come l’integrazione del machine learning e della Intelligenza Artificiale, un mantra ormai dalle parti di Mountain View.

Parlando del design dei propri prodotti, che sembra non avere suscitato cori entusiastici, Osterloh afferma che non è nell’interesse della compagnia proporre le migliori tecnologie fini a sé stesse, quanto piuttosto offrire soluzioni semplici da utilizzare e in grado di risolvere i problemi degli utenti. Scordiamoci quindi di vedere dispositivi edge-to-edge, display tagliati o curvi, che secondo Osterloh non hanno alcuna utilità.

Prepariamoci dunque a una presenza sempre più importante di Google nel mercato hardware, con prodotti che andranno a competere con i migliori brand del mercato, potendo contare su una quantità immensa di informazioni che altri non hanno.