L’ufficialità di Samsung Galaxy Note 9 credo sia un fatto oscuro a pochi tra quelli che ogni giorno masticano tecnologia. Si tratta del solito smartphone a cui è difficile trovare una pecca, e probabilmente questa è la prima volta in cui, di fatto, è impossibile trovarne una che non sia pretestuosa. Pensateci. Anche la batteria poco capiente – unica vera critica che si può muovere all’eccellente Galaxy S9+, i cui 3500 mAh erano prosciugati dalla pessima (quanto cronica) gestione energetica dell’interfaccia utente – sembra essere un ricordo sfocato. Se prima la Ferrari andava in giro con il serbatoio di una Punto, adesso le è stato regalato quello di una Maserati. Rispetto la nutrita folla di appassionati a cui Samsung sta poco simpatica, ma mettiamo per un attimo da parte le antipatie e guardiamoci negli occhi: c’è un fianco scoperto in Galaxy Note 9? Sul serio vogliamo attaccare la mancanza della radio o quella degli infrarossi? Sono funzioni minori: se domani potessi contare quanti, potendolo acquistare, lo lascerebbero sullo scaffale per una delle due assenze, oggi non scommetterei su numeri elevati.

Finalmente un Note con il sensore d’impronte nella posizione corretta: ahi ahi, Samsung…

Io, felice possessore di un OnePlus 3T capace nel giugno 2017 di sottrarmi all’ovattato ecosistema iOS (avevo un iPhone 6s), da marzo sfrutto con piacere la complessità della Samsung Experience. Intendiamoci: l’interfaccia coreana è concettualmente distante dalla OxygenOS di OnePlus, e a differenza del gelido prospetto tecnico è perfettibile. Per prima cosa mi affretterei ad alleggerirla, se la curassi io. Si tratterebbe senza dubbio di fare una cernita delle funzioni, con l’implicazione di caricarsi sulle spalle la responsabilità di toccare il principale vantaggio competitivo sulla concorrenza. Samsung ha voglia di farlo? Certo è che in un top di gamma da mille euro con appena qualche mese di vita (e di dati) sulle spalle, personalmente non sono disposto a tollerare la minima incertezza. Datemi pure dell’integralista, ma prima Apple e poi OnePlus mi hanno abituato male. Oggi, peraltro, buona parte della concorrenza premium (ad esempio Huawei Mate 10 Pro, come documentato da Matteo) è capace di mantenere inalterate fluidità e pastosità per diverso tempo.

Date in pasto a Google “colorazione affascinante”: troverete questa foto – OnePlus 6

Tuttavia questa leggera insofferenza non mi porterà a sostituire Galaxy Note 8, né con OnePlus 6, né con Huawei P20 Pro e neppure con la sua naturale evoluzione, Galaxy Note 9.
Il primo è fuori dai giochi principalmente per la mancanza della ricarica wireless. Colpa di Nexus 5, e del successivo periodo di convivenza forzata con il groviglio di cavetti sparsi che avevo dimenticato, arrestatosi solo tre anni dopo con l’acquisto di Note 8. Col piffero che me ne separo un’altra volta.
Gli altri “no” sono la mancanza della certificazione IP (ok, è water resistant, ma quella sigla dà una tranquillità in più) e di una seconda fotocamera che abbia una funzione “tangibile” (wow, sono riuscito ad evitare “che abbia un senso”).
Huawei P20 Pro è perfetto, non fosse per un enorme difetto sufficiente da solo ad oscurare le assenze di ricarica wireless e Bluetooth 5.0. Non è la “tacca” – che seppur non veda di buon occhio confido che alla lunga ci si possa fare l’abitudine – ma l’interfaccia, la EMUI. Viviamo una fase di generale appiattimento nel design degli smartphone, e l’unica opportunità rimasta – ribadisco l’unica – per “firmare” la superficie anteriore è dedicarsi anima e corpo su quello che si vede quando lo schermo è illuminato.
Non si differenzia uno smartphone da un altro mettendo un isolotto sul display (magari esteso quanto la Sicilia come quello di Google Pixel 3 XL su cui i rumor insistono da giorni, lo avete visto?), erodendo un millimetro di cornice o mantenendo il sensore biometrico davanti, benché sia una comodità rilevante. Non voglio avere a che fare quotidianamente con un’interfaccia che tenta di riportami indietro di parecchi anni. “Huawei la rivedrà”, obietterà qualcuno. Chiaro. Ma quando?
Rimane Galaxy Note 9. Qui la questione è ancor più semplice da dirimere: qual è il principale motivo per cui un possessore di Note 8 dovrebbe prendere in considerazione un “Note 8s”? Abbiamo già affrontato la questione nel modo più “scientifico” possibile e alla fine della fiera, secondo me, si riduce tutto alla batteria. Non c’è altro. Quei 4000 mAh emettono un cinguettio irresistibile, e quelli come me che di ansie ne hanno già a sufficienza fanno volentieri a meno di aggregarne un’altra, quella da autonomia. Vorrei vivere una vita il più possibile tranquilla, quelle poche volte che mi avventuro lontano da scrivania, libri e PC. Già, “quelle poche volte”. Un momento: voglio davvero scucire diverse centinaia di euro per “quelle poche volte”? Forse no. Forse accetto il compromesso di avere dietro un power bank.

Io terrò Note 8. Voi che farete?

Vedremo come si comporterà Samsung Galaxy Note 9 nella recensione del nostro Matteo, per il momento (salvo sorprese) mi terrò stretto Galaxy Note 8, almeno fino al momento in cui arriverà un altro smartphone a far breccia nel cuore impressionabile di un appassionato di tecnologia come me. E come molti di voi.

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