Normalmente le batterie immagazzinano gli ioni di litio in un elettrodo fatto di grafite con alto livello di purezza, fino al 95%, il cui costo è di ben 10 mila dollari per tonnellata: d’altro canto, il silicio, ampiamente utilizzato in tutti i circuiti elettronici, ha un prezzo tre volte minore data la sua abbondanza in natura, ma renderlo utilizzabile per costruire batterie non è un’impresa semplice.

Il silicio non è un buon conduttore al contrario della grafite e inoltre dopo poche ricariche la capacità della batteria diminuirebbe drasticamente; all’Università di Alberta hanno voluto però testarne i limiti, osservando i cambiamenti portati da nanoparticelle di silicio all’interno delle batterie. Le piccole particelle vengono poste all’interno di un aerogel incorporato con il grafene per aumentarne la conduttività: più piccole sono e maggiore è la capacità che l’anodo può immagazzinare arrivando a più di 10 volte la capacità originale con particelle dal diametro di 3 nanometri.

Questo si aggiunge alla lunga serie di studi che sono stati effettuati negli ultimi anni promettendo ingenti miglioramenti dell’autonomia dei nostri dispositivi mobili, che però non hanno ancora visto sbocchi sul mercato globale. Infatti, vanno superate due importanti prove: il costo, che deve essere pari o inferiore alle tecnologie tradizionali e la sicurezza delle celle. Quindi, la speranza è che all’Università di Alberta escano vincenti da entrambe le prove (e in breve tempo).