Il 5G copre quasi tutta l’Italia, ma non è ancora quello “vero”

rete 5G

I dati dell’osservatorio recentemente pubblicato da EY nel corso dell’annuale Digital Summit raccontano di una copertura 5G che ha ormai raggiunto una percentuale molto alta del territorio italiano, tuttavia c’è un grosso “ma” da mettere in conto: quello attualmente diffuso non è ancora il “vero” 5G.

Stando ai dati raccolti da EY, infatti, la copertura territoriale dell’Italia con il 5G sarebbe vicina al completamento, tuttavia siamo ancora ben lontani dalla prospettata “rivoluzione”, visto che per quella giocheranno un ruolo imprescindibile le reti standalone, con garanzie di latenza ridotta all’osso e velocità elevatissime.

5G in Italia: copertura territoriale quasi completata

Parlando di numeri, viene riportata una copertura del 95% della popolazione italiana, per un totale di oltre 7.500 comuni italiani. Per quanto riguarda l’analisi della copertura a livello regionale, tutte le venti regioni italiane superano tranquillamente la soglia dei 90 punti percentuali, ma mentre molte regioni sono sopra la media nazionale (spiccano Basilicata e Valle d’Aosta al 98%), Campania (93%), Lazio (94%) e Puglia (94%) sono le uniche al di sotto della media nazionale.

La situazione complessiva, però, è meno rosea di quanto sembri, basti pensare che, ad esempio, le gare per la core network – la parte centrale della rete di quinta generazione – devono ancora essere aggiudicate. Questo vuol dire che siamo ancora al cospetto di un semplice embrione del 5G vero e proprio. Insomma, il 5G che raggiunge la quasi totalità degli italiani è una versione light che discende da un lato da un potenziamento delle attuali reti 4G e dall’altro dell’uso delle cosiddette frequenze midband, vale a dire quelle preziosissime (rectius costosissime) della banda 3,5 Ghz. In quest’ultimo caso il roll out da parte ad esempio di TIM e Vodafone ha preso il via dalle grandi città per poi andare a scendere verso quelle di medie dimensioni e a macchia di leopardo in varie aree del territorio nazionale.

L’altra parte del quadro al momento comprende il cosiddetto Dynamic spectrum sharing (Dds), ovvero l’upgrade delle attuali reti 4G che integrano in parte la tecnologia 5G e che, per questa ragione consentono di aumentare le performance, come nel caso della Top quality network di WindTre. Questa tecnologia prevede la modulazione in tempo reale in base alle esigenze specifiche, ma non permette certo di raggiungere i livelli di prestazioni che saranno possibili con il 5G standalone.

Ma il 5G “vero” è ancora lontano

Per le reti 5G standalone, però, ci vorrà ancora del tempo e non pochissimo: gli operatori delle telecomunicazioni sono al lavoro, tuttavia prima di un anno difficilmente si arriverà al giro di boa, anzi per toccare con mano i benefici del vero 5G, applicato ad esempio all’industria, ai trasporti e alla sanità – settori che più di altri necessitano di una latenza in grado di abilitare servizi quali la robotica, la guida assistita, la comunicazione vehicle-to-vehicle e gli interventi chirurgici a distanza –, la strada è ben più lunga.

Allo stato attuale, i miglioramenti in termini di velocità e di latenza garantiti da questo 5G light, pur lungi dall’essere rivoluzionari, sono comunque piuttosto interessanti, anche se più per la clientela consumer che per quella business. Sì perché anche dei piccoli miglioramenti possono portare benefici in termini di esperienza utente, stante la corrente disponibilità di offerte comprensive del 5G senza sovrapprezzi esorbitanti, l’uso in crescita di video su smartphone e tablet e l’esplosione dell’intrattenimento tramite streaming (film, serie TV, ma anche giochi). A dirla tutta, comunque, a fare davvero la differenza ai fini di un utilizzo streaming è la disponibilità domestica della fibra.

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Fonte: Ey.com
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