In una lunga intervista a The Verge, Rick Osterloh, responsabile della divisione Dispositivi e Servizi (Devices and Services) a Mountain View, ha fatto il punto sui tre anni della propria divisione, che svolge un ruolo sempre più fondamentale all’interno dell’organigramma del colosso americano.

Il 2018 è stato un anno cruciale”, racconta al sito statunitense e ne ha ben donde visto che Google ha completato l’acquisizione di ingegneri una volta parte di HTC (soprannominato “Taiwan team”), ha rilasciato i Pixel 3 e ha completato il matrimonio tra i dispositivi Home e Nest.

Progetti che hanno puntato sulla prima qualità dei prodotti commercializzati, applicata rispettivamente al segmento smartphone e a quello dei device per la casa. Tuttavia, il buono messo da parte potrebbe rivelarsi fine a se stesso se non si riuscirà a saltare al vero obiettivo della divisione: la vendita in grandi volumi. Qual è la situazione attuale? “Buona, ma non dove avremmo voluto essere”, risponde Osterloh.

Non è dunque una sorpresa che Google abbia puntato sui nuovi Pixel 3A e Pixel 3A XL come traini della nuova generazione di dispositivi presentati. I nuovi smartphone mettono sul piatto tanta qualità, basti citare la stupefacente fotocamera, a un prezzo di partenza piuttosto contenuto. La giusta chiave per aprire la porta del florido mercato del medio range, che è la vera vacca grassa dell’economia.

Stesso discorso per i Nest che sono confluiti in un unico grande insieme con i prodotti Home per far convergere da un lato la video sorveglianza e il monitoraggio dell’ambiente casalingo (o lavorativo) e dall’altro l’assistenza virtuale per il controllo a voce e confortevole. Google Nest Hub Max è il fulgido esempio del nuovo corso che si rivolge a entrambi i mercati una volta ben separati.

Esaurita l’analisi del lato “Devices” non si può che passare a quello “Services” ossia servizi e sarà proprio questa una delle potenzialità ancora da esprimere appieno. Basti pensare a Stadia ossia alla parte videoludica recentemente presentata, senza dimenticare la sponda AR e VR ossia realtà aumentata e virtuale che si sta lentamente, ma inesorabilmente, intersecando con ogni categoria di prodotto fino ai programmi come Google One che abbracciano un numero sempre più crescente di smartphone semplici e economici con supporto garantito agli aggiornamenti.

L’ultima parte dell’intervista è però quella più interessante perché tratta della visione di questa divisione di Google per il presente e futuro. Ambient computing è la risposta: trattasi di tutti quei dispositivi così integrati e “nascosti” nell’ambiente circostante da risultare quasi invisibili eppure sempre più utili per accompagnare e aiutare le persone. I controller sono sostituiti dalla voce e gli algoritmi imparano e richiedono sempre meno istruzioni fornite. L’esempio più luminoso è Google Assistant che unisce con un filo impercettibile tutti i prodotti e che garantisce un’interazione sempre più naturale, semplice e immediata.

Il futuro è tracciato per Google, non resta che osservare se riuscirà a raccogliere i frutti dopo aver seminato abbondantemente.