Sono passati quasi quattro anni da quando Google era stata prosciolta dalle accuse di infrazione di brevetti per l’utilizzo di alcune API Java all’interno di Android. Oracle, detentore dei brevetti, aveva presentato immediato ricorso ottenendo esattamente due anni fa il ribaltamento della sentenza grazie all’intervento della Corte d’Appello degli Stati Uniti.

Forte dell’ultima sentenza la società di Larry Ellison ha deciso di battere cassa, chiedendo un risarcimento faraonico di 9,3 miliardi di dollari per l’utilizzo non autorizzato di codice Java in 37 API di Android.  Secondo Google si tratta di una richiesta che, pur priva di fondamento in quanto il codice originale è stato ampiamente modificato, è esagerata in quanto assegna alle API incriminate l’intero valore di Android.

Dopo aver fallito una conciliazione extra giudiziale nelle scorse settimane le due parti si ritroveranno davanti ad un giudice che potrebbe condannare Google al pagamento di un risarcimento, anche se dovrebbe trattarsi di cifre molto lontane da quelle richieste da Oracle. In caso di vittoria Oracle avrebbe il diritto di chiamare in causa altri sviluppatori, colpevoli di infrazione di brevetti per avere utilizzato, nelle loro applicazioni, chiamate ad API protette da copyright.

Sulla questione è intervenuta anche la Electronic Frontier Foundation che prospetta un terremoto nell’economia del software qualora venisse limitata la possibilità di effettuare chiamate ad API protette per timore di conseguenze legali. Torna quindi alla ribalta la questione della riforma del sistema dei brevetti che da una parte deve giustamente proteggere le proprietà intellettuali ma non deve rappresentare un’occasione per monetizzare in qualsiasi situazione.

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