Tracciare i movimenti degli smartphone: è questa l’idea lanciata anche in Italia per “costringere” le persone a rimanere a casa durante questo periodo di emergenza Coronavirus, a maggior ragione se positive. Si tratta di una proposta giusta o di una violazione della privacy non necessaria? Parliamone.

Tracciare i movimenti degli smartphone: il caso Cina e non solo

Tracciare i movimenti potrebbe essere una buona soluzione per evitare il più possibile che le persone escano di casa, ma non solo. Il decreto attualmente in vigore prevede le uscite solo per questioni mediche e di lavoro, per fare la spesa o per situazioni di estrema necessità, ma come stiamo vedendo purtroppo non tutti stanno rispettando le regole.

In alcuni Paesi stanno già sfruttando soluzioni tecnologiche: i servizi di intelligence Shin Bet stanno usando in Israele un sistema di monitoraggio degli spostamenti di quei cittadini che sono risultati positivi; per lo scopo è stato ripreso un database creato nel 2002 per il contrasto al terrorismo. Si tratta ovviamente di un accesso ai dati sensibili, autorizzato dal Parlamento per 30 giorni su richiesta del premier Netanyahu.

Ancora più a fondo si è spinta la Cina con una speciale applicazione in grado di attingere ai dati del governo: questa è capace di avvisare gli utenti che sono stati vicini a un cittadino positivo al Coronavirus, in modo che possano isolarsi ed essere controllati successivamente con un tampone. La tecnologia ha aiutato e sta continuando a farlo anche con droni e videocamere con sistema di riconoscimento facciale, che verificano che gli obblighi vengano rispettati (compreso quello di utilizzare la mascherina).

In Corea del Sud i contagi sono stati circoscritti più rapidamente che in Italia. Questo è stato possibile anche grazie a un’app per smartphone scaricata dalla maggior parte dei cittadini: quando una persona risulta infetta i suoi spostamenti vengono tracciati e caricati in un database, in modo da poter avvisare tutte le persone che sono eventualmente entrate a contatto e da poter eseguire un tampone più “mirato”.

Le proposte in Italia e USA

Il tracciamento dei movimenti degli smartphone per limitare la diffusione del Coronavirus viene considerata da alcuni un’ottima soluzione anche in Italia. È d’accordo Luca Zaia, governatore del Veneto, che però ovviamente non si dimentica della questione privacy: “siamo in emergenza, e ci vuole un provvedimento per queste attività” ha dichiarato, aggiungendo poi: “ci hanno proposto dei software stratosferici, però mi metto nei panni dei cittadini, bisogna che ci sia una legittimazione giuridica” .

Gli operatori telefonici si erano già detti pronti a mettere a disposizione delle autorità tutto il necessario, pur garantendo il rispetto del GDPR: proprio per questo la Lombardia ha potuto constatare che ben il 40% dei cittadini si sono spostati di più di 300 metri da casa. L’associazione degli operatori Asstel ha già dichiarato di poter fare di più per aiutare Protezione Civile, ISS e Regioni, ma per “spingersi” oltre servirebbe una norma.

Anche negli USA le cose si stanno muovendo: i tecnici della Casa Bianca avrebbero avviato colloqui con alcuni grandi colossi come Google e Facebook per puntare a utilizzare i dati di geolocalizzazione dei cittadini. Le informazioni verrebbero a quanto pare usate in forma anonima e dovrebbero essere messe a disposizione di specialisti per il tracciamento dell’epidemia e per scongiurare movimenti non necessari.

La privacy ai tempi del Coronavirus

Tutto questo potrebbe risultare molto utile, ma per quanto riguarda la privacy dei cittadini? Il dibattito è ormai aperto: da un lato chi sostiene che la privacy non può essere una priorità in momenti di emergenza come questi, dall’altro però c’è chi è preoccupato per i risvolti di un tracciamento di questo tipo, soprattutto per il futuro.

Al riguardo si è pronunciato il Garante della Privacy italiano, Antonello Soro, dichiarando che “I diritti possono, in contesti emergenziali, subire limitazioni anche incisive, ma queste devono essere proporzionali alle esigenze specifiche e temporalmente limitate“, aggiungendo quanto segue:

La forza della democrazia è anche nella sua resilienza: nella sua capacità cioè di modulare le deroghe alle regole ordinarie, in ragione delle necessità, inscrivendole in un quadro di garanzie certe e senza cedere a improvvisazioni. Il limite dell’emergenza è insomma nel suo non essere autonoma fonte del diritto ma una circostanza che il diritto deve normare, pur con eccezioni e regole duttili, per distinguersi tanto dalla forza, quanto dall’arbitrio.

Secondo voi sarebbe giusto utilizzare il tracciamento dei movimenti degli smartphone come mezzo per aiutare a combattere l’emergenza Coronavirus? Oppure siete preoccupati delle implicazioni legate alla privacy? Fateci sapere la vostra.