Continua senza esclusione di colpi, a volte anche bassi, la battaglia che vede contrapposte Oracle e Google per l’annosa vicenda legata all’utilizzo senza licenza di 37 API Java nello sviluppo di Android. La sentenza iniziale che assolveva Google è stata ribaltata e ora la compagnia di Larry Ellison è pronta a battere cassa, chiedendo un risarcimento record di 9 miliardi di dollari.

Negli ultimi due giorni è stato il turno di Safra Catz, co-CEO di Oracle, che invece di parlare della presunta infrazione da parte di Google ha accusato Android di essere negativo per il movimento open source. Da sempre Oracle è accusata di non favorire la comunità open source e la reputazione costruita negli anni ha contribuito a rafforzare questa immagine negativa, per cui l’affermazione di Catz sembra quanto mai fuori luogo.

Secondo Catz l’unico modo di preservare la filosofia alla base di Java, “scrivilo una volta, eseguilo ovunque”, è quello di impedire a Google di rovinarlo, visto che le applicazioni sviluppate per Android, basato su una versione modificata di Java, non sono compatibili con nessun altro sistema operativo.

Nel contro interrogatori la difesa ha nuovamente puntato il dito contro Oracle, mostrando alcune mail interne in cui si esprimevano perplessità sulla possibilità, da parte della stessa Oracle, di creare uno smartphone in grado di funzionare con Java. La difesa ha ricordato a Catz che prima dell’acquisizione da parte di Oracle, Sun Microsystem stava dialogando con Google in merito alle API incriminate e lo stesso Larry Ellison, ora chairman, esprimeva soddisfazione per l’implementazione proposta da Google, tanto da affermare: “Penso che vedremo un sacco di dispositivi Java, molti dei quali provenienti dai nostri amici di Google”.

Catz conferma di essere stata avvicinata nel corso di un bat mizvah nel 2012,dal capo dell’ufficio legale di Google Kent Walker che avrebbe detto “Google è una compagnia speciale, le vecchie regole non valgono per noi”. La risposta di Catz in quell’occasione era stata molto piccata: “Thou shalt not steal”, uno dei dieci comandamenti della Torah che potremmo tradurre con “Settimo: non rubare” adattandolo alla religione cattolica.

Le arringhe finali sono attese per i primi giorni della prossima settimana, quando anche gli ultimi testimoni saranno stati sentiti dalle due parti. In seguito starà alla giuria emettere quello che potrebbe essere il verdetto definitivo sulla questione anche se difficilmente la parte confitta accetterà di buon grado la decisione.

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