Continua a far discutere la questione a proposito dell’eventuale pericolosità del 5G, soprattutto in questo periodo di grandi sperimentazioni in diverse città italiane con gli operatori che si preparano al lancio dei network di nuova generazione. Le nuove reti dovrebbero debuttare nel biennio 2020-2022 anche in Italia e i vari TIM, Vodafone, Wind e 3, Iliad e Fastweb sono in prima linea.

Ma moltissimi utenti sono spaventati e tirano in ballo la dannosità delle emissioni di onde elettromagnetiche. Cosa c’è di vero in tutto questo? Ve ne avevamo già parlato ampiamente con un’analisi piuttosto estesa e con interventi autorevoli sulla domanda “Il 5G è pericoloso?” ma la questione è tutt’altro che risolta anche per tanti appassionati di tecnologia.

In questi giorni sta facendo discutere online una vecchia puntata della trasmissione Petrolio andata in onda su Rai 1 lo scorso 23 febbraio e dedicata proprio alla nuova era del 5G con il titolo “New Age del 5G” concentrandosi proprio sull’effetto che le onde e i campi elettromagnetici sviluppati dai nuovi network possono generare sul corpo umano. Il punto di partenza era sempre la domanda se le onde millimetriche dei nuovi network potessero in qualche modo danneggiare il nostro organismo.

In ballo, due possibili tumori come quello maligno al cervello chiamato glioma e quello benigno al nervo acustico chiamato neurinoma. Come vi abbiamo già spiegato nel nostro approfondimento, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) non ha mai indicato pericolosità del 5G così come delle tecnologie precedenti. A tutt’oggi non si sono evidenziati rischi sanitari connessi con l’uso di onde radio se si sta sotto ai livelli consentiti dalle normative. Se prendiamo inoltre quanto dichiarato dallo IARC (l’agenzia internazionale per la ricerca contro il cancro) ha cautelativamente classificato l’esposizione ad onde radio per gli utilizzatori di cellulari come “possibile cancerogeno”, tuttavia i ripetitori per telefonia non rientrano in questa classificazione.

Questo perché tutto sta nella durata e vicinanza del contatto tra l’apparecchiatura e il corpo umano; motivo per il quale vale sempre la regola che se si utilizza un vivavoce oppure un auricolare (meglio con filo) si riducono drasticamente i pericoli.

Nella puntata di Petrolio vengono citati gli esperimenti effettuati nei laboratori ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale) della Regione Piemonte andando a rilevare che durante una chiamata, il livello di esposizione medio è di 6 Volt al metro ovvero un valore esattamente nei limiti di legge. Tuttavia, distanziato il telefono di soli 10 cm si riduce a un terzo l’intensità (2 Volt al metro), mentre quando si usa un auricolare il valore viene quasi annullato (0,3 Volt al metro).

Le situazioni in cui si patiscono più emissioni di onde elettromagnetiche avvengono quando i dispositivi non sono in grado di agganciarsi al segnale e quindi spingono al massimo la potenza dei ricevitori ad esempio in ascensore, un ambiente chiuso con segnale anche nullo. In questo caso si misura un valore anche di 14 Volt al metro. Discorso a parte per i vecchi telefonini che potevano arrivare fino addirittura 27 Volt al metro, dato che a quei tempi si spendeva molta meno attenzione a questo particolare di fondamentale importanza.

Durante la puntata di Petrolio sono intervenuti alcuni professionisti. Il primo è stato l’avvocato Stefano Bertone che sottolinea come a suo parere la sperimentazione del 5G non debba essere permessa dato che sarebbe in gioco l’incolumità dei cittadini che vengono sottoposti a emissioni di onde elettromagnetiche di una tecnologia i cui effetti collaterali devono ancora essere dimostrati in modo definitivo.

Stessa tesi anche per Fiorella Belpoggi, Direttore del Centro di Ricerca sul Cancro Cesare Maltoni dell’Istituto Ramazzini di Bologna: “Delle onde millimetriche che verranno utilizzare per il 5G abbiamo il buio completo. Siamo in balia di un’industria che non ha investito un centesimo sulla sicurezza dei propri prodotti”. Petrolio ha mostrato un esperimento condotto proprio dall’Istituto Ramazzini insieme alla National Toxicology Program americano con una sperimentazione spalmata dal 2005 al 2008 su circa 2500 ratti che dalla fase prenatale fino alla morte sono state sottoposte all’esposizione alla radio frequenze.

Le gabbie dei ratti, che reagiscono alle emissioni in modo simile agli esseri umani, erano state piazzate attorno a un’antenna che veniva attivata per 18 ore al giorno e con intensità di 1.8 GHz, che però non è il range operativo del 5G quanto quello del 2G e del 3G. In molti ratti era insorto un tumore raro al cuore, che per alcuni ricercatori doveva far riflettere. Come prendere questi dati? Vi rimandiamo al precedente link al nostro approfondimento perché già si era toccato questo particolare, ma sempre in Petrolio vengono proposte voci più tranquillizzanti.

A differenza dei network attuali, infatti, il 5G sfrutterà onde meno intense e più “corte” che necessiteranno di più antenne capillarmente diffuse sul territorio. Se molte persone vedono questo come la mossa definitiva che ci friggerà tutti, in realtà è l’opposto. Lo dice anche Alessandro Polichetti, ricercatore dell’Istituto Superiore della Sanità, che sottolinea come le antenne non così potenti diminuiranno anche i livelli di esposizioni sulla popolazione. Tesi rinforzata anche da Marco Mezzavilla, ricercatore della New York University, che spiega come la frequenza operativa farà “rimbalzare” le onde sul corpo umano, per via di un coefficiente di assorbimento assai ridotto.

Insomma, possiamo verosimilmente immaginare le nuove reti come una tecnologia tutt’altro che pronta a sterminare l’umanità, al contrario il 5G potrà rivoluzionare il mondo in meglio. Detto questo, conviene sempre seguire le indicazioni dunque per chi effettua molte chiamate utilizzare auricolari e mai dormire con lo smartphone acceso sul comodino. Tutto il resto, compresi gli uccelli morti per il 5G, lascia il tempo che trova.