Da quando Opera, compagnia responsabile dello sviluppo di Opera Browser, è divenuta un’azienda pubblica nel 2017, l’azienda cinese che l’acquisita ha operato alcune (discutibili) scelte di mercato per cercare di tamponare le perdite relative al settore dei browser web. Del resto non è una novità che lo strapotere di Google Chrome sia un grosso problema per le aziende competitor, Opera inclusa.

Secondo un report piuttosto scottante rilasciato dalla Hindenburg Research, si scopre che le ingenti perdite dell’area browser hanno portato Opera a sviluppare applicazioni prestito con finestre di pagamento molto brevi e con tassi d’interesse compresi fra il 365-876%, il tutto in netta violazione delle regole del Google Play Store.

Opera possiede diverse applicazioni di prestito sul Play Store con tassi d’interessi che arrivano all’876%

Queste applicazioni – OKash, OPesa, CashBean e Opay – sono pensate per il mercato africano e asiatico e sono ancora disponibili sul Play Store. Le applicazioni pubblicizzano tassi d’interesse diversi rispetto a quelli che gli utenti realmente ricevono, cosa che è stata anche confermata da una email di risposta da parte della compagnia.

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Dall’immagine si può infatti notare che l’applicazione OKash, disponibile in Kenia, offre prestiti a 15-29 giorni invece dei 61-365 che vengono ufficialmente dichiarati. La cosa non migliora quando si vanno a valutare i feedback lasciati dagli utenti sul Play Store; in questo caso in molti si lamentano del fatto che gli utenti in possesso delle applicazioni OKash e OPesa ricevono spesso messaggi e telefonate in caso di pagamenti in ritardo, ricevendo minacce di eventuali azioni legali in caso di mancato pagamento.

Le informazioni presenti nel rapporto pubblicato dalla Hinderburg Research hanno avuto un peso anche sul valore della azioni di Opera che le ha viste perdere qualche punto percentuale nel giro di poche ore. Nel mentre l’azienda ha rilasciato una dichiarazione sul portale adibito agli investitori in cui rigetta al mittente tutte le informazioni presenti nel rapporto, tacciandole come “errate”, “prive di fondamento” e contenenti “interpretazioni fuorvianti”.