Nel 1965 Gordon Moore, cofondatore di Intel, formulò un’osservazione empirica, aggiornata negli anni 80, che è tuttora conosciuta come prima legge di Moore e che prevede che la potenza dei processori raddoppi ogni 18 mesi.

Nel corso degli anni, seguendo quanto prospettato da Moore, siamo passati da computer grandi come frigoriferi ai piccoli smartphone che stanno nelle nostre tasche. Ma per ogni evoluzione dei processori cresce anche il costo legato alla loro realizzazione, nell’ordine delle decine di miliardi di dollari.

IBM, ad esempio, ha investito oltre tre miliardi di dollari in cinque anni per riuscire a diminuire le dimensioni dei transistor. L’azienda statunitense ha annunciato mercoledì di essere riuscita a creare con successo il primo prototipo funzionante realizzato con tecnologia a 7 nanometri, 7 miliardesimi di metro, ovvero meno del triplo di un filamento di DNA.

Si tratta, almeno per il momento di un prototipo da laboratorio che non può essere utilizzato nei moderni dispositivi elettronici ma rappresenta un passo avanti fondamentale per mantenere valida la legge di Moore. IBM si è avvalsa della collaborazione di Samsung e GlobalFoundries per ottenere questo importante risultato, che colloca i nuovi chip due generazioni avanti rispetto a quelli a 14 nanometri attualmente impiegati.

La tecnologia a 10 nanometri sviluppata da IBM porta ad un incremento del 50% del rapporto prestazioni/consumi, il che significa consumare meno per fare le stesse cose o avere molta più potenza a disposizione a parità di consumi. La nuova tecnologia a 7 nanometri promette un ulteriore incremento del 50% in questo rapporto, arrivando così a raddoppiare la potenza dei migliori chip oggi sul mercato.

Per avere un’idea del grande lavoro svolto da IBM basti pensare che Intel, leader mondiale dei chipmaker, non ha ancora mostrato nulla di concreto a proposito della tecnologia a 7 nanometri anche se a lungo termine dovrebbe essere in grado di recuperare il terreno perduto.

IBM ed i suoi alleati hanno utilizzato moltissime tecnologie evolute per realizzare i nuovi chip ma le due principali riguardano l’utilizzo di un composto chimico basato su una lega di silicio-germanio e sulla tecnologia di fotoincisione che utilizza una luce ultravioletta a lunghezza d’onda ridotta.

Nell’ultimo decennio i chipmaker hanno realizzato le fotoincisioni utilizzando luci ultraviolette con lunghezza d’onda di 193 nanometri, che tradotto in termini più comprensibili per i non addetti al settore, equivale a dipingere un quadro con le dita utilizzando dei guantoni da pugile. Attraverso una serie di maschere i produttori di chip sono in grado di incidere transistor sempre più piccoli.

Per la nuova tecnologia a 7 nanometri però IBM ha utilizzato una luce ultravioletta estrema, con lunghezza d’onda di soli 13.5 nanometri, in grado di realizzare componenti così minuscoli. La nuova tecnologia di fotoincisione sarà molto utile per le nuove generazioni di chip, per i quali le tradizionali tecniche produttive non saranno più applicabili.

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