Instagram, una delle piattaforme social più popolari ed utilizzate al mondo, ha recentemente assunto delle lodevoli iniziative finalizzate a contrastare la diffusione di contenuti offensivi e falsi, anche se contestualmente ha praticamente lasciato campo libero ai politici per continuare a diffondere disinformazione, allineandosi a quanto già fatto da mamma Facebook.

Instagram: fact-checking e lotta ai contenuti falsi

A partire dallo scorso mese di maggio, Instagram ha testato un sistema di fact-checking negli Stati Uniti e adesso ha deciso di dare nuovo impulso a questa iniziativa attraverso la collaborazione con ben 45 organizzazioni di terze parti. In questo modo, il popolare social network mira a rendere più efficace l’azione di controllo sull’autenticità dei contenuti foto e video diffusi dagli utenti attraverso la piattaforma.

Tutti i contenuti che verranno riconosciuti come falsi verranno automaticamente nascosti nelle pagine Cerca e Hashtag. Contestualmente gli stessi contenuti saranno bloccati anche nelle Storie nel feed, dove verranno nascosti da un avviso all’utente. Quest’ultimo potrà scoprire il motivo per il quale un determinato contenuto sia stato etichettato come falso da Instagram e potrà in ogni caso vedere il post effettuando un tap sull’apposita opzione.

Quella assunta da Instagram è senza dubbio una mossa nella giusta direzione, peraltro identica a quella preannunciata da Facebook lo scorso mese di ottobre nell’ambito della guerra alle fake news. Inoltre, Instagram si servirà di una tecnologia di image matching con la finalità di scovare eventuali copie ulteriori dei contenuti falsi ed etichettarle parimenti, facendo lo stesso anche per tutti quei contenuti condivisi da Facebook a Instagram e viceversa.

Peraltro una mossa di questo tipo potrebbe deporre a favore di Zuckerberg e della sua ben nota volontà di mantenere saldo il legame tra le sue piattaforme. Insomma, dal punto di vista dell’azione di contrasto alla diffusione della disinformazione, l’unione tra Facebook, Instagram e WhatsApp potrebbe rivelarsi conveniente, laddove invece una loro separazione renderebbe necessarie maggiori risorse per perseguire simili risultati in termini di moderazione.

Tutto molto bello, se non fosse per l’eccezione di cui si parlava: il fact-checking di Instagram non coinvolge i politici. I contenuti – annunci pubblicitari inclusi – creati da questi ultimi potranno continuare a diffondere falsità e disinformazione al solo scopo di attirare dalla propria parte qualche consenso in più. Adam Mosseri, CEO di Instagram, sostiene che mettere al bando i cosiddetti “political ads” impedirebbe ai candidati meno forti di fare attività promozionale. Certo, dal momento che Instagram non permette di inserire nei post i link ai siti usati dai politici per la raccolta di denaro, si potrebbe essere portati a considerare il problema meno serio, tuttavia non bisogna dimenticare che un link può essere inserito in bio e che gli account verificati possono inserirli anche nelle Storie.

Contro i contenuti offensivi nelle didascalie

Non è tutto, perché in giornata Instagram ha messo in campo anche un’altra iniziativa importante, in questo caso finalizzata ad educare i propri utenti a non diffondere contenuti offensivi. Come si vede chiaramente nell’immagine, Instagram ha iniziato ad avvisare gli utenti della possibilità che la didascalia aggiunta alla foto o al video che sono in procinto di pubblicare venga considerata offensiva o vista come un atto di bullismo. In questo modo all’utente viene offerta la chance di apportare delle modifiche prima di procedere alla pubblicazione.

Di fatto, si tratta di una mossa che si pone sulla scia di quella relativa ai commenti messa in campo da Instagram nei mesi addietro. In entrambi i casi è l’AI ad individuare contenuti simili ad altri già segnalati come offensivi o per bullismo.

Mosse positive da parte di Instagram, che tuttavia non impediscono l’effettiva diffusione di contenuti e commenti offensivi.

Al contempo, Instagram ha finalmente iniziato a chiedere l’età ai nuovi utenti, per accertarsi che abbiano almeno 13 anni, colmando finalmente una mancanza grave, in contrasto con il Child Online Privacy Protection Act e da più parti rimarcata da anni.