Spotify negli ultimi mesi ha imboccato una strada molto chiara: tutelare a tutti i costi il proprio servizio e mettere fine alle versioni modificate che permettono di avere gratis ciò che normalmente è a pagamento. Dopo aver introdotto sistemi di rilevamento sempre più serrati per bloccare le app alterate, il colosso dello streaming ora passa alle maniere forti con un avviso DMCA indirizzato a ReVanced, celebre progetto nel mondo del modding Android.

Nel mirino c’è la Unlock Premium patch, capace di sbloccare funzionalità esclusive senza sborsare un euro. Una mossa che conferma quanto Spotify stia cercando di chiudere ogni spiraglio agli “escamotage” degli utenti, ma che riapre anche un vecchio dibattito: fino a dove arriva la legittima personalizzazione e quando, invece, si entra nel territorio della pirateria digitale?

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ReVanced sotto accusa: cosa contesta davvero Spotify

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Secondo la contestazione di Spotify, l’Unlock Premium patch di ReVanced violerebbe direttamente l’articolo 1201 del DMCA, la normativa statunitense che vieta l’aggiramento dei sistemi di protezione digitale. L’accusa è chiara, infatti la patch permetterebbe agli utenti di accedere a funzionalità premium come lo skip illimitato dei brani senza alcun abbonamento. Non parliamo di un semplice “ritocco” grafico, quindi, ma un intervento che mina le fondamenta del modello di business della piattaforma.

Dal canto suo, il team di ReVanced si difende sostenendo che il loro lavoro non integra codice proprietario e non apre la strada alla pirateria musicale. Le funzioni sbloccate, dicono, migliorerebbero solo l’esperienza d’uso, senza consentire di scaricare o ascoltare brani al di fuori del catalogo gratuito. Tuttavia, diversi precedenti legali negli Stati Uniti dimostrano che anche modifiche “di funzionalità” possono rientrare nelle violazioni del DMCA. Proprio per questo, ReVanced ha già chiesto il supporto di esperti legali, consapevole che lo scontro potrebbe avere conseguenze pesanti non solo per loro, ma per l’intero ecosistema di patch e mod.

Dalle ceneri di Vanced a un nuovo precedente?

Il caso Spotify-ReVanced riporta subito alla mente la parabola di YouTube Vanced, progetto chiuso nel 2022 dopo le pressioni di Google. ReVanced nasce proprio da quelle ceneri, con l’obiettivo di offrire un sistema più “furbo” e modulare: non distribuisce versioni complete delle app proprietarie, ma un manager open source e un set di patch che l’utente applica alla copia ufficiale scaricata dal Play Store.

In questo modo, almeno nelle intenzioni, il progetto riduceva i rischi legali, lasciando agli utenti la responsabilità della modifica. Le patch spaziano dalla rimozione della pubblicità all’aggiunta di funzioni premium, fino a opzioni di personalizzazione assenti nel software originale.

ReVanced, insomma, è diventato in poco tempo l’erede spirituale di Vanced, con una community entusiasta e un bacino di utenti in crescita. Ma allo stesso tempo ha sempre vissuto in bilico tra popolarità e minacce legali, tanto che non è la prima volta che riceve un takedown DMCA. Già in passato alcune patch e repository erano state rimosse a seguito di contestazioni, ma mai con una portata simile.

Nel frattempo, Spotify ha affinato i suoi strumenti di difesa, introducendo controlli capaci di rilevare e bloccare APK modificati. La battaglia, per gli utenti, si è tradotta in un continuo gioco del gatto col topo: nuove patch, nuove contromosse, nuove limitazioni. Con questo DMCA formale, però, il rischio per ReVanced è di dover rinunciare del tutto al supporto di Spotify, togliendo una delle funzioni più richieste dalla sua community. E se così fosse, potremmo assistere a un nuovo precedente capace di segnare non solo il futuro di ReVanced, ma anche quello di tutti i progetti che camminano sul filo sottile tra personalizzazione e pirateria.