Ogni giorno il settore RTB (Real Time Bidding) tiene traccia di ciò che stai guardando, non importa quanto privato o sensibile, e registra dove vai. Questa è la più grande violazione dei dati mai registrata. E si ripete ogni giorno“; queste le parole del dottor Johnny Ryan, ricercatore presso l’ICCL (Irish Council for Civil Liberties), che ha condotto un’interessante studio sulla condivisione dei dati degli utenti.

Da quanto emerge, i dati dell’utente medio europeo vengono condivisi fino a 376 volte al giorno, il dato peggiora ulteriormente se riferito agli utenti statunitensi, i cui dati vengono condivisi fino a 747 volte al giorno. I dati in questione sono inerenti la cronologia dei siti visitati, il loro contenuto e la posizione del dispositivo utilizzato; secondo lo studio questi dati vengono condivisi con broker e inserzionisti, allo scopo di determinare quali tipi di annunci pubblicitari inserire e dove.

Tutto ciò non rappresenta una novità assoluta, nonostante non si tratti di dati trafugati come ad esempio il grande data breach che ha coinvolto Facebook lo scorso anno, non è la prima volta in cui i colossi del mondo tech vengono accusati di utilizzare i dati degli utenti in modo non chiaro per fini commerciali; lo studio in questione inoltre ha preso in esame un’unica società pubblicitaria, Google, tralasciando due dei più grandi rivali in quel mercato ovvero Amazon e Meta, ciò significa che in realtà i dati sul numero di condivisioni giornaliere sono sicuramente più elevati.

 “La più grande violazione mai registrata”

Il dottor Ryan non prende a cuor leggero la questione, secondo il ricercatore infatti questo meccanismo, completamente automatico, rappresenta una grave violazione della privacy degli utenti. C’è da fare una doverosa precisazione, i dati raccolti e condivisi per scopi pubblicitari non sono direttamente riconducibili ad un singolo utente, quantomeno non lo sono con mezzi tradizionali (lo sappiamo tutti che in ambito informatico, se si hanno le competenze, si può fare praticamente qualsiasi cosa).

Come già detto, il meccanismo di condivisione è completamente automatico, nonché praticamente istantaneo; i broker analizzano i dati per poi venderli al migliore offerente in ambito pubblicitario. Ciò contribuisce a sostenere la multimilionaria industria pubblicitaria fino a 107 trilioni di volte l’anno negli Stati Uniti, e fino a 71 miliardi di volte in Europa; pensate che i dati internet di un utente medio tedesco, vengono condivisi una volta ogni minuto che passa online.

L’ICCL è attualmente impegnato in una causa legale, insieme al Comitato per la protezione dei dati, contro l’industria della pubblicità e contro quella che viene definita una violazione dei dati epica visto che, a quanto sostiene l’ente, nessuno ha mai acconsentito a questa pratica.

Insomma la situazione non è certo chiara, soprattutto per l’utente medio che si limita ad interagire con il proprio dispositivo senza porsi troppe domande; concludiamo con un’analogia della giornalista Parmy Olson di Bloomberg che rende particolarmente bene l’idea della situazione: “Se l’esaurimento dei nostri dati personali potesse essere visto nello stesso modo in cui l’inquinamento può essere visto, saremmo circondati da una foschia quasi impenetrabile che diventa più densa man mano che interagiamo con i nostri telefoni“.