Un cerchio colorato, un chatbot poco chiaro e nessuna possibilità di disattivarlo, è questa, in buona sostanza, l’esperienza che molti utenti europei di WhatsApp stanno vivendo in queste settimane con l’arrivo di Meta AI, l’assistente basato sull’intelligenza artificiale sviluppato da Meta e integrato nell’app di messaggistica più utilizzata nel Vecchio Continente.
L’implementazione, avviata già da tempo negli Stati Uniti e in altri mercati selezionati, è giunta finalmente anche in Europa, ma lo ha fatto in maniera piuttosto confusa, attirando fin da subito l’attenzione degli utenti (non troppo entusiasti) e delle autorità regolatorie, che si interrogano sulla conformità della nuova funzione rispetto all’EU AI Act e alle normative sulla protezione dei dati personali.
L’UE alza le antenne su Meta AI in WhatsApp
Come alcuni di voi avranno notato, l’arrivo dell’assistente virtuale su WhatsApp è stato accompagnato da un nuovo pulsante colorato (verde, blu e viola) situato accanto alla consueta icona per avviare una nuova chat; si tratta di un piccolo ma vistoso cambiamento visivo che ha immediatamente attirato l’attenzione, soprattutto perché introduce un elemento fortemente disallineato rispetto alla palette cromatica tradizionale di WhatsApp, da sempre dominata dal verde.
Al di là dell’estetica, il pulsante consente l’accesso diretto a Meta AI, un chatbot alimentato da un modello di intelligenza artificiale general purpose (GPAI), per la precisione Llama 3.2, capace di svolgere alcune attività di base come rispondere a domande di ricerca, generare testi o aiutare nella stesura dei messaggi.
Tuttavia, nella versione europea il chatbot risulta fortemente limitato, sia in termini di funzionalità (non è possibile, ad esempio, creare immagini a partire da descrizioni testuali o personalizzare la memoria delle conversazioni), sia per quanto riguarda la trasparenza e le informazioni disponibili sul suo funzionamento.
Non è un mistero che i legislatori europei abbiano una certa sensibilità (e storica diffidenza) verso le soluzioni tecnologiche percepite come invasive o poco trasparenti; tanto per fare qualche esempio, basti pensare alle battaglie legali contro il tracciamento pubblicitario, al DMA o alle nuove regole di interoperabilità.
Nel caso specifico di Meta AI, i riflettori dell’Unione si sono accesi quasi immediatamente: Veronika Cifrová, membro del Parlamento europeo, ha già dichiarato che le autorità stanno valutando se l’integrazione del chatbot su WhatsApp sia effettivamente conforme alle norme UE, in particolare in relazione alla protezione dei dati personali, all’uso dell’intelligenza artificiale e al diritto degli utenti di disattivare o rifiutare funzionalità non richieste.
Un punto, questo, particolarmente critico: Meta AI non può essere disattivato, né nascosto, né rimosso, almeno per ora; questo ha scatenato le ire di moltissimi utenti, che si sono riversati sui social per esprimere il proprio malcontento, definendo il nuovo assistente come inutile, invasivo e distraente.
Meta aveva inizialmente sospeso il rollout del suo assistente AI in Europa nel giugno 2024, in attesa di un accordo con i regolatori per garantire il rispetto dell’EU AI Act, normativa che impone trasparenza, tracciabilità e tutela della privacy per ogni modello di intelligenza artificiale. Solo di recente sembra essere stato raggiunto un compromesso, che ha permesso l’avvio (parziale) della distribuzione anche nel nostro continente.
Tuttavia, le funzionalità attuali restano abbastanza deludenti, la stessa Meta nella comunicazione ufficiale ha menzionato esempi come “brainstorming per la cena” o “pianificare una vacanza in Canada” come casi d’uso tipici del suo chatbot, senza fornire dettagli concreti su come possa effettivamente migliorare l’esperienza utente su WhatsApp.
E proprio qui si inserisce un’altra critica frequente: molti utenti semplicemente non vogliono un chatbot nella loro app di messaggistica, soprattutto se non hanno chiesto di attivarlo e non possono rimuoverlo.
La presenza forzata di Meta AI su WhatsApp solleva quindi una serie di questioni, tanto tecniche quanto culturali, può un assistente AI diventare parte integrante di un’app di messaggistica senza il consenso esplicito degli utenti? Come si bilancia l’innovazione con il diritto alla privacy e alla semplicità d’uso? E soprattutto, che senso ha aggiungere una funzione smart se poi viene percepita come una distrazione inutile?
In attesa che l’Unione Europea si esprima ufficialmente sulla questione, e che Meta chiarisca una volta per tutte come intenda gestire i dati generati dalle interazioni con il suo chatbot, gli utenti europei dovranno fare i conti con questo nuovo e controverso coinquilino digitale.
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