La vicenda alla base di questo articolo — la condanna comminata da un giudice tedesco ad un utente per la pubblicazione di contenuti illegali istiganti all’odio razziale nello stato di WhatsApp — tocca un tema più ampio e delicato quale quello dell’hate speech, che rappresenta una piaga amplificata a dismisura dalla moderna società iperconnessa.

Tanti (troppi) utenti riversano in Rete discorsi pieni di odio nella convinzione — errata — di godere di una sorta di impunità “nella vita reale”, ma proprio vicende come quella di cui parliamo oggi devono valere da monito.

Lo stato di WhatsApp è privato ma non troppo: occhio a quello che pubblicate

In linea di massima si può dire che i contenuti condivisi sullo stato di WhatsApp non sono pubblici, dal momento che gli stessi sono visibili solo ed esclusivamente dai contatti dell’utente. Tuttavia c’è un altro fattore da tenere in conto: al crescere del numero dei contatti salvati, aumenta anche quello dei potenziali spettatori. Ne consegue che gli stessi contenuti non sono neppure esattamente privati, anzi gli utenti che li pubblicano possono addirittura essere chiamati a risponderne.

Un esempio di ciò arriva da una recente vicenda legale tedesca, la quale dimostra come la diffusione di propaganda su WhatsApp possa costituire incitamento all’odio. Il Tribunale distrettuale di Francoforte ha condannato un individuo di 41 anni al pagamento di una sanzione di 750 euro per avere caricato nel proprio stato di WhatsApp un video contenente il simbolo della svastica e un discorso di Adolf Hitler intriso di odio antisemita. Durante il processo tenutosi a gennaio, l’uomo si era difeso dicendo di aver pubblicato il video senza prestarvi attenzione e di non pensare alcuna di quelle cose. Stando alla condanna, nel 2019 l’uomo aveva caricato sul proprio stato di WhatsApp un video della durata complessiva di 80 secondi contenente discorsi e simboli inneggianti al nazismo (svastica, immagini, testi e quant’altro).

Com’è noto, gli stati di restano visibili per 24 ore dai contatti WhatsApp dell’utente. Nel caso di specie, il giudice ha classificato questa pubblicazione come “distribuzione“, dal momento che l’imputato aveva 229 contatti salvati al momento del fatto: a fronte di un numero così ampio di persone, non è più possibile presumere una possibilità di verifica da parte del mittente. Il Tribunale ha stimato che almeno 75 contatti avevano visualizzato il video nelle 24 ore in cui era rimasto disponibile e uno dei contatti del quarantunenne, pur non essendo un vicino conoscente dell’imputato, aveva provveduto a segnalarlo. Proprio questo aspetto — la mancanza di un rapporto personale — dimostra, secondo quanto stabilito dal tribunale, come la diffusione del video fosse andata oltre la cerchia dei conoscenti, integrando una vera e propria distribuzione, nella quale rileva la conoscibilità e non l’effettiva conoscenza (i.e. il successo della divulgazione). Il reato prevede una pena detentiva fino a tre anni, tuttavia il tribunale è stato clemente perché l’imputato aveva confessato e al momento dell’udienza erano trascorsi due anni dal fatto costituente reato. La decisione, va detto, non è ancora definitiva.

In Italia: cosa prevede il nostro ordinamento

Per quanto riguarda l’ordinamento giuridico italiano, la normativa di riferimento va individuata nell’articolo 604-bis del Codice Penale, rubricato “Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa“.

Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione con una recente sentenza (Cassazione penale, Sez. I, sentenza 9 febbraio 2022, n. 4534) con la quale ha riconosciuto un grave indizio di colpevolezza del reato di istigazione all’odio razziale nei like su post antisemiti pubblicati su social network «non aventi natura privata» come Facebook, VKontacte e WhatsApp. Per maggiori dettagli, il testo della sentenza è disponibile a questo link.

Il modo migliore per concludere questo discorso è affidarsi alle parole sempre vere e attuali di Rita Levi-Montalcini:

«Non esistono le razze, il cervello degli uomini è lo stesso. Esistono i razzisti. Bisogna vincerli con le armi della sapienza».

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