L’inserimento di Huawei nella blacklist del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti è stato sufficiente a mettere in difficoltà il produttore cinese, impedendogli di collaborare con le aziende statunitensi.

Il più grosso pericolo è rappresentato dalla possibilità di dovere fare a meno di Android e dei servizi di Google, oltre che dei processori di Qualcomm o di altre componenti fornite dai vari produttori statunitensi.

In attesa che il governo statunitense e Huawei riescano a trovare un accordo, il colosso cinese ha già intrapreso le proprie azioni legali, sostenendo che il ban subito fosse illegale e sproporzionato.

Stando a quanto riportato da The New York Times, la risposta dell’amministrazione statunitense al reclamo proposto da Huawei è piuttosto “curiosa”: anche la sola possibilità che il produttore agisca come proxy per gli apparati di sicurezza statali della Cina è una ragione sufficiente per gli Stati Uniti per bannare i suoi telefoni e le altre tecnologie.

Pare, in sostanza, che la decisione di attuare il ban sia stata presa senza prove effettive su attività di “spionaggio” da parte di Huawei.