Lo scorso aprile 2011 Apple denunciò Amazon per “pubblicità ingannevole” (tra le altre cose) per l’uso del termine appstore nella denominazione del “negozio di applicazioni” della nota azienda editoriale che, come è noto, si chiamava e si chiama ancora Amazon Appstore. L’accusa di Apple si basa sul fatto che, secondo l’azienda di Cupertino, l’intento di Amazon sia quello di far credere che la qualità delle applicazioni dello store di Amazon sia al livello di quello di Apple, che secondo il produttore dell’iPhone non sarebbe vero.

Nella giornata di ieri, il giudice Phyllis Hamilton della corte distrettuale degli Stati Uniti ha accordato la mozione di Amazon per rimuovere le accuse di pubblicità ingannevole dalla denuncia di Apple.

La questione, in ogni caso, è ben lungi dall’essere conclusa ed il relativo processo si terrà nell’agosto di quest’anno. La principale difesa di Amazon consiste nel fatto che il termine “app store”, che significa letteralmente “negozio di applicazioni”, è troppo generico per essere riconosciuto come marchio registrato. Del resto, gli stessi Steve Jobs e Tim Cook si erano riferiti agli store della concorrenza con il termine “app store”, confermandolo come un sostantivo molto comune nel settore. Apple ha già perso un’ingiunzione preliminare per far immediatamente desistere Amazon dall’uso del termine in questione.

Prima che qualcuno possa fare il paragone con il fatto che sia un’assurdità che un negozio di scarpe si possa chiamare “negozio di scarpe” ed impedire che ogni altro negozio di scarpe si possa chiamare allo stesso modo, anche se fosse il primo del suo genere (e, nel caso di Apple App Store, non lo è né in ambito desktop, né in quello mobile), c’è da riflettere sul fatto che, mentre negli Stati Uniti Apple non possiede un marchio registrato sui termini “App Store” e “Appstore”, ma solo delle richieste ancora in esame, in Europa invece ce li ha su entrambi i termini, nonostante una richiesta di Microsoft, Nokia, HTC e Sony di invalidarli. Chissà che questo processo tra Apple e Amazon non metta la parola “fine” ad una vicenda che sfiora l’assurdo.

[via CNET]