Qual è il più grande insegnamento che possiamo trarre dalla vicenda FaceApp? Che nonostante gli allarmi ribaditi in ogni dove e nonostante anche la conoscenza del web di molti che l’hanno scaricata e utilizzata, ancora una volta emerge un totale disinteresse per la propria privacy e per l’incolumità dei propri dati personali.

Si sottovalutano i rischi, si pensa che “ma sì, tanto…“, ma soprattutto traspare un comportamento ancora più inquietante ovvero che i download sono aumentati dopo tutto il clamore, confermando che il fascino del pericolo sia quasi irresistibile.

Tutto ciò che è impalpabile e nebuloso esiste, forse proprio questa sua natura eterea dovrebbe mettere in guardia più di ciò che è tangibile e concreto. I non esperti di web e social non comprendono come giganti della rete quali Facebook e affini si siano arricchiti in modo così spaventoso e in così poco tempo, con Mark Zuckerberg a sedere al tavolo di capi di stato come se fosse un loro collega. Come se fosse quel che infatti è: l’imperatore di una nazione che supera per numero anche la Cina e che garantisce un gettito continuo di profitto. Pubblicità? No, quelle sono briciole: i dati personali degli utenti.

Prendiamo proprio Facebook come esempio più pratico. Con circa un miliardo e mezzo di iscritti e con tonnellate di algoritmi e tracker che in ogni istante raccolgono informazioni, le incrociano, le interpretano e le digeriscono può fornire una finestra aperta in tempo reale su una vasta quantità di orizzonti. Esempio ancora più pratico: esce un film, molte persone vanno in sala, lo guardano, commentano, condividono link, foto, opinioni.

Basta poco a Facebook per avere dati statistici formidabili divisi per sesso, età, formazione, posizione geografica, religione e qualsiasi altro parametro si immagini. Per lo stesso risultato con vie tradizionali servirebbe un tempo e risorse economiche esponenzialmente superiori. Questo è il vero “denaro” di Facebook, i dati personali. Ogni utente, ognuno di noi, ha un valore economico molto alto.

Basti pensare che Amazon proponga di offrire 10 euro agli utenti per spingerli a utilizzare Amazon Assistant. Va da sé che, nel pacchetto, l’utente dona in cambio i dati sulla propria navigazione e molto di più. 10 euro per utente, una piccola parte del reale valore. Con molte applicazioni, social network, giochi e portali, gli utenti cosa fanno? Si regalano, aprono tutte le porte di casa (virtuale). Lasciano che software si arricchiscano in modo ingente o che, peggio, sfruttino i dati regalati per scopi illeciti.

faceapp richieste

E in tutto questo entra in gioco FaceApp, che mette chiaro nero su bianco quando lo si installa che: “Si garantisce all’app un perpetuo, irrevocabile, non esclusivo, senza royalties, mondiale, retribuito, trasferibile sotto licenza per l’uso, riproducibile, modificabile, adattabile, pubblicabile, traducibile, sfruttabile per lavori derivati, distribuibile e mostrabile pubblicamente il contenuto dell’utente, ogni nome, username…“. Tradotto: le immagini possono essere utilizzati a totale piacere, trasferiti, sfruttati commercialmente e non si può fare niente; soprattutto, sono associati al proprio nome utente e, peggio ancora, al proprio nome reale. Quando si scattano le foto, il regalo è servito.

Nonostante questo, sia Google su Google Play sia Apple su App Store non hanno mosso un dito, hanno lasciato che tutto seguisse il proprio corso, nonostante anche qualche senatore americano si fosse mosso. E i download sono diventati milioni e milioni anche e soprattutto dopo che questi rischi sono stati messi sotto i riflettori.

Ancora una volta, il consiglio è quello di ponderare a lungo su ciò che si condivide online e su ciò che si regala alle società (che siano russe, americane, italiane… poco importa) perché anche qualcosa di impalpabile come un selfie può valere da minuscolo mattoncino di un muro molto difficile da sgretolare.