L’equo compenso, quella sorta di tassa imposta su qualunque dispositivo in grado di memorizzare contenuti (chiavette, hard disk, smartphone, PC), sta facendo discutere tutta la stampa specializzata (e non solo) per via delle follie che si stanno dicendo e facendo in questi giorni. Tutto parte dal decreto Franceschini, che aumenta le tariffe dell’equo compenso, secondo alcuni dettato anche nelle virgole da SIAE per via dell’entità dei rincari (in alcuni casi superiori al 500%!). Dopo dibattiti e dichiarazioni da tutte le parti coinvolte, comprese quelle di Franceschini (“non ci saranno aumenti sugli smartphone perché sono venduti a prezzo fisso”), Apple ha aumentato il prezzo degli iPhone proprio a causa dell’equo compenso (indicato come “tassa sul copyright”).

La SIAE s’è inventata una trovata geniale per fare un enorme dispetto ad Apple: è andata in Francia, a Nizza, e ha acquistato 22 iPhone, per un totale di 16’000€, “per dimostrare a tutti come in Francia, nonostante l’equo compenso per copia privata sia molto più alto che in Italia, i prezzi siano inferiori rispetto a quelli del nostro Paese. Questo è un fatto, non un’opinione discutibile”. Gli iPhone sono stati regalati agli studenti dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, del Centro Sperimentale di Cinematografia e del Dipartimento Jazz del Conservatorio di Santa Cecilia.

C’era proprio bisogno di buttare via 16’000€ per “dimostrare” una cosa sotto gli occhi di tutti… E poi perché impiegare quei soldi per finanziare cose costruttive come corsi di musica o per rendere gratuite le associazioni alla SIAE per i giovani artisti emergenti? Meglio darli all’Apple Store di Nizza, togliendo – tra l’altro – non solo i soldi dell’equo compenso (dovuti all’acquisto dei telefoni) agli autori italiani, ma anche l’IVA e i soldi derivanti da altre tasse allo Stato italiano. Una mossa davvero geniale, degna delle intelligenze più fini.

Tutto questo perché Apple è una società brutta e cattiva che vuole guadagnare su quello che fa (Francesco Avallone, vicepresidente di Federconsumatori: “non possiamo assistere senza far niente all’aumento dei profitti dei produttori che già lucrano abbondantemente sul prezzo di vendita”). No, aspetta: tutte le società di capitali funzionano così perché così funziona l’economia di un mondo capitalista. Nonostante la Corte di Giustizia Europea abbia più volte ribadito che il compenso per la copia privata debba andare a pesare sul consumatore e non sulle aziende produttrici, dunque, la SIAE e i suoi improbabili alleati sono ancora convinti che siano le aziende a dover pagare.

Oltre a stabilire quanto prelevare dalle tasche degli italiani, dunque, SIAE e la sua combriccola vorrebbero dettare legge anche sulle strategie commerciali delle aziende e sul prezzo dei prodotti, affermando che le aziende “già lucrano abbondantemente” come se fosse un peccato capitale e non, invece, la logica conseguenza di un’economia capitalista (giusta o sbagliata che sia).

Ma a dare manforte ad Apple arriva anche Samsung, per una volta unita all’acerrima rivale nella battaglia contro questa tassa inutile e dannosa. La sede italiana della società coreana ha infatti diramato una comunicazione con la quale annuncia che ci sarà un aumento dei prezzi di listino dovuto proprio all’equo compenso. Val la pena ricordare che Samsung è il leader di mercato e questa scelta, quindi, in un certo senso pesa doppio, perché in qualche modo legittima questo tipo di comportamento – che è sbagliato in quanto tale, ma è un’ottima forma di protesta contro un decreto sbagliato e controproducente.

Tra l’altro Samsung consiglia di abbandonare il cosiddetto “prezzo ottico”, ovvero il prezzo arrotondato al “9” (es. 9.99€, 99.90€, 599€), per passare ad un prezzo che tenga conto degli aumenti dovuti al decreto Franceschini. Saremmo l’unico Paese d’Europa (o quasi) dove i dispositivi non avrebbero un prezzo ottico.

Ma questi sono problemi minori, perché il vero macigno che pesa sulle spalle di Franceschini è, come giustamente sottolinea AIRES-Confcommercio, ovvero l’associazione dei venditori e distributori di prodotti di elettronica di consumo, che questa tassa inciderà direttamente sulle vendite del comparto hi-tech – in peggio. Se un hard disk da 1TB passa improvvisamente da 50€ a 70€, le persone un minimo scafate comprano all’estero, dove lo stesso hard disk costa 45€. E lo stesso vale per i telefoni cellulari, i tablet, le schede di memoria e le chiavette e così via. Questo porta un danno evidente alle aziende italiane.

Il rischio evidente è che a farne le spese sia soprattutto il mondo della distribuzione, schiacciato tra gli interessi dei produttori e un mercato assolutamente asimmetrico dal punto di vista normativo a svantaggio delle imprese italiane. […] Il provvedimento, così come concepito, avvantaggia gli operatori esteri che non versano il contributo alla Siae e penalizza non solo gli imprenditori italiani, e ovviamente anche le imprese estere che hanno deciso di investire in Italia, ma anche i consumatori. È completamente illogico, in tempi di crisi, ostacolare il commercio e gli acquisti generati nel territorio nazionale; ritengo si possa coniare il termine di “protezionismo al contrario” per descrivere questo effetto perverso.

“Protezionismo al contrario” non è un’espressione sbagliata, perché la legge Franceschini provoca effetti chiaramente individuabili:

  • le aziende italiane vengono ingiustamente penalizzate rispetto alle concorrenti europee e vedono i loro profitti calare anche ingentemente;
  • si crea una sorta di protezione per gli autori e il mondo della cultura, ma si tira il freno a mano sul settore della tecnologia e dell’elettronica di consumo influendo artificiosamente sul mercato (chi ha detto “aiuti di Stato” e “dirigismo”?);
  • lo Stato incassa meno soldi in tasse provenienti dalla vendita di apparecchi, perché gli acquisti effettuati all’interno della Comunità Europea prevedono che le tasse rimangano nel Paese dove viene acquistato il bene.

Davide Rossi, direttore generale di AIRES, afferma giustamente che “i nostri addetti e le nostre imprese non sono, e non devono essere considerate, di serie B rispetto a chi opera nell’industria della cultura”. SIAE e i suoi sostenitori sembrano sostenere una posizione totalmente anti-italiana e contraria agli autori italiani, anziché favorevole. Consigliando di acquistare all’estero danneggiano distributori, negozianti, Stato ed autori italiani in via più o meno diretta; alzando le tariffe dell’equo compenso portano all’aumento dei prezzi e danneggiano distributori e negozianti; sostenendo posizioni insostenibili danneggiano la categoria degli autori e, in generale, la credibilità già compromessa delle nostre istituzioni e del nostro Paese.

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