Il futuro del web aperto, quell’ecosistema di siti e servizi accessibili liberamente da chiunque, senza barriere chiuse come app proprietarie o piattaforme chiuse, si gioca in un’aula di tribunale negli Stati Uniti. Da una parte c’è Google, che con le sue piattaforme pubblicitarie domina la maggior parte delle entrate pubblicitarie digitali. Dall’altra c’è il DOJ (il Dipartimento di Giustizia USA), che da anni accusa l’azienda di aver costruito un monopolio adtech capace di soffocare la concorrenza e danneggiare editori e inserzionisti.
Dopo la storica sconfitta di Google nel 2023, ora si apre la fase più delicata: il “remedies trial”, il processo sulle possibili soluzioni correttive. In gioco ci sono cessioni di asset chiave come AdX (l’ad exchange di Google) e DFP (DoubleClick for Publishers, l’ad server usato dai publisher), oltre a un profondo cambiamento nelle regole che hanno governato la pubblicità online nell’ultimo decennio.
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Google sotto assedio: le richieste del DOJ per il futuro del web aperto
Il Dipartimento di Giustizia USA (DOJ) ha pubblicato un documento di oltre 60 pagine con i rimedi proposti contro Google. Le richieste principali includono:
- la cessione di AdX, la piattaforma che gestisce lo scambio pubblicitario, e probabilmente anche di DFP (DoubleClick for Publishers), lo strumento che i publisher usano per vendere spazi;
- il divieto per Google di favorire i propri strumenti a scapito della concorrenza;
- la creazione di un fondo di transizione, pari al 50% dei ricavi netti di AdX e DFP, gestito sotto supervisione giudiziaria per sostenere gli editori;
- la pubblicazione open-source del codice delle aste pubblicitarie, così da garantire maggiore trasparenza.
Secondo diversi analisti, se il giudice Leonie Brinkema dovesse approvare queste misure, si tratterebbe di una svolta storica in grado di riequilibrare il mercato.
Mountain View ha controreplicato con un dossier di 25 pagine, in cui riconosce solo parte delle condizioni. Ciò che ha fatto più rumore, però, è la frase secondo cui “il web aperto è già in rapido declino”.
Per Mountain View, l’arrivo dell’intelligenza artificiale ha cambiato radicalmente lo scenario. Secondo Google, “nuovi editori” come i chatbot IA avrebbero ormai assunto un ruolo centrale, riducendo progressivamente la rilevanza degli editori tradizionali.
Una tesi che ha suscitato molte critiche. Jason Kint, esperto di media digitali, ha ricordato che è stata proprio Google a dominare per anni distribuzione, design e monetizzazione del web aperto, contribuendo alla sua fragilità.
Se il Dipartimento di Giustizia USA riuscisse a imporre le sue condizioni, l’impero pubblicitario di Google subirebbe un colpo senza precedenti, aprendo la strada a un ecosistema più competitivo e trasparente. Ma resta la domanda cruciale: se il web aperto sta davvero morendo, queste misure arriveranno in tempo per salvarlo?