Il confine tra social network e intelligenza artificiale si sta facendo sempre più sottile e a quanto pare, per molti utenti, anche quello tra vita privata e spazio pubblico; è quanto emerge dall’analisi dell’attività recente su Meta AI, l’assistente conversazionale sviluppato dal colosso guidato da Mark Zuckerberg, la cui integrazione profonda con piattaforme come Facebook e Instagram sta dando vita a una nuova (e in parte preoccupante) forma di interazione pubblica.

Come noto, Meta AI si basa sul modello linguistico LLaMA, aggiornato più volte nell’ultimo anno e oggi piuttosto efficace in ambiti leggeri e conversazionali (sebbene non sia ancora competitivo rispetto a modelli più avanzati forniti da altri protagonisti del settore); tuttavia, ciò che rende Meta AI diverso non è tanto la qualità tecnica del modello quanto la sua integrazione diretta nelle app che miliardi di persone già usano quotidianamente per esprimere pensieri, opinioni e stati d’animo.

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Meta AI è un assistente sempre connesso, forse anche troppo

Nella pratica, l’esperienza d’uso di Meta AI è molto semplice, una casella di testo consente di porre domande in forma scritta o vocale, ricevere risposte o semplicemente chiacchierare; il tutto è racchiuso in un’interfaccia snella che però include una funzione potenzialmente molto problematica: il pulsante Pubblica, che consente di rendere appunto pubblica l’interazione avuta con il chatbot nel feed Scopri dell’app.

Molti utenti, complice forse l’interfaccia poco chiara o una scarsa consapevolezza delle implicazioni, sembrano condividere accidentalmente le loro conversazioni, esponendo contenuti altamente sensibili, bizzarri o addirittura imbarazzanti a una platea pubblica.

Scorrendo il feed Scopri si possono trovare interazioni che spaziano dalle richieste di testimonianze per amici coinvolti in procedimenti giudiziari, fino a domande mediche estremamente personali, forse poste da utenti anziani convinti di trovarsi in una chat privata; in alcuni casi si trovano persino clip audio lunghe un’ora, in cui Meta AI accompagna l’utente in auto in una conversazione continua, fatta anche di pensieri disturbanti o allusioni a comportamenti illeciti, tutto collegato direttamente al proprio profilo Facebook.

Il vero nodo, come spesso accade nel contesto digitale contemporaneo, non è solo tecnologico ma anche culturale, gli utenti sembrano spesso inconsapevoli del fatto che le loro domande, le loro confidenze e i loro pensieri possono finire in uno spazio pubblico e commentabile, accessibile a chiunque; non si tratta dunque di una semplice funzione Condividi, ma di una trasformazione della natura stessa della conversazione con un’IA, da esperienza privata a contenuto social.

A onor del vero, molti dei commenti sotto questi post sono benigni, utenti che avvisano l’autore della pubblicazione consigliandogli di rimuovere il contenuto per proteggere la propria privacy, ma ciò non basta a evitare il problema di fondo, ovvero l’accesso troppo facile alla pubblicazione, che dovrebbe invece essere protetto da una conferma esplicita, un avviso di sicurezza, o meglio ancora un’impostazione predefinita che garantisce la riservatezza.

La situazione attuale porta dunque a una riflessione più ampia, cosa succede quando l’intelligenza artificiale smette di essere uno strumento isolato e si trasforma in un’estensione del nostro io social? La risposta, come dimostra l’esperienza con Meta AI, è complessa e tutt’altro che rassicurante: il rischio di esporre dati sensibili, domande intime o contenuti potenzialmente compromettenti è molto alto, specie quando non esiste una separazione netta tra piattaforme di pubblicazione e spazi di conversazione.

In un’epoca in cui la privacy è sempre più difficile da gestire, affidarsi a un chatbot che può pubblicare le nostre conversazioni con un semplice tap, magari inavvertito, rappresenta un rischio concreto, troppo spesso sottovalutato.

In questo contesto Meta dovrebbe intervenire con urgenza su più livelli: rendere più evidente quando una conversazione sta per essere resa pubblica, introdurre avvisi espliciti e conferme multiple prima della pubblicazione, nonché rendere privata ogni interazione con l’IA di default, con eventuale condivisione solo su esplicita volontà dell’utente.

Fino ad allora il feed Scopri continuerà a essere una vetrina surreale, a tratti inquietante, di ciò che accade quando la tecnologia corre più veloce della consapevolezza dell’utente.