Uno dei produttori che negli ultimi anni si è maggiormente si è distinto nell’ambito della fotografia sugli smartphone è indubbiamente Huawei. L’innovazione tecnologia del brand cinese ha portato a stravolgere questo aspetto decretando sviluppi e innovazioni di assoluta utilità. Dal sensore in bianco e nero fino al recente sistema di prismi chiamato a periscopio per ottenere ingrandimenti sempre maggiori.

Quali sono però le strategie tecniche adottate dagli ingegneri Huawei? Quali limiti si è cercato di superare? Lo affrontiamo in questo viaggio partendo ovviamente da alcuni concetti tecnici. Alcuni di questi li abbiamo già affrontati in una rubrica dedicata alla fotografia da smartphone e che vi invitiamo a recuperare qualora ve li foste persi.

Come è fatto un sistema fotografico

Seguendo il percorso che la luce fa per colpire il sensore fotografico, quindi dall’esterno verso l’interno, troviamo

  1. innanzitutto l’obiettivo: ovvero l’apertura del sistema verso l’esterno, una sorta di imbuto che raccoglie la luce e la convoglia verso le parti successive. Ogni obiettivo ha sue specificità ed è in grado di catturare porzioni di scena diverse: esistono ottiche grandangolari, ultra grandangolari o zoom. Questa caratteristica dipende dalla costruzione e dalla disposizione delle lenti all’interno di essi ma, mentre una obbiettivo fotografico può disporre di più lunghezze focali semplicemente avvicinando o allontanando le lenti fra di loro -puoi magari specificare obiettivi fissi e zoom-, uno smartphone è così sottile da non poter aver parti mobili, per questo vengono adottati più sensori fotografici con diverse lunghezze focali. Tipicamente 27mm equivalente per il sensore principale, sotto i 20mm per gli ultra grandangolari, sopra i 100mm per i sensori zoom.
  2. il secondo elemento è il diaframma, ovvero un’apertura capace di bloccare o far passare la quantità di luce desiderata, può aprirsi e chiudersi in modo regolare e preciso ed è importante sia per determinare la quantità di luce che deve passare, sia per dare forma alla luce. Un diaframma aperto darà luogo a un campo focale ristretto (mettendo a fuoco un soggetto e sfocando lo sfondo) mentre un diaframma chiuso creerà un’immagine in cui elementi a distanze diverse risultano egualmente a fuoco.
    In questo esempio: la prima foto è fatta con un’apertura f1.9, la seconda con un’apertura f3.4, come potete notare la seconda è estremamente più piatta e tutta l’immagine è a fuoco.
  3. il terzo elemento è l’otturatore: ovvero una porta fisica che si apre e si chiude determinando i tempi di scatto. Sugli smartphone non è presente, non avendo parti mobili né spazio, ma lo simula semplicemente andando ad accendere e spegnere il sensore. PIù il sensore rimane acceso, più i fotoricettori vengono impressionati dalla luce.
    Qui potete vedere un esempio: nel primo caso lo scatto è fatto con tempi molto ridotti, nel secondo con tempi molto più lunghi, troppo.
  4. ed infine il sensore fotografico: ovvero un insieme di fotoricettori, di pixel, che reagiscono alla luce emettendo un segnale che verrà tradotto dal processore d’immagine.

Il sensore può essere regolato nella sua sensibilità e reattività alla luce, questo parametro si chiama ISO, argomento che però non ci servirà direttamente per l’analisi che andremo a fare. Vi basti sapere che ISO alti, quindi sensibilità maggiore, portano a creare confusione nell’interpretazione della luce andando a creare rumore, per questo motivo è sempre bene, ma non sempre possibile, avere ISO il più bassi possibile.

Due concetti invece molto importanti è che più questi pixel sono grandi più sono capaci di immagazzinare luce a parità degli altri valori, e quindi fare scatti di maggior qualità, più sono numerosi invece più avremo dettaglio. I pixel però non sono tutti uguali, secondo uno schema bayer ciascuno di essi ha una sensibilità diversa ad uno dei colori primari Rosso, Verde, Blu.

Bene, adesso siamo pronti per analizzare uno ad uno i sensori fotografici di Huawei Mate 40 Pro, l’ultimo smartphone con cui la casa è riuscita ad alzare ancora l’asticella.

Huawei Mate 40 Pro: il sensore principale da 50 megapixel

Partiamo con l’analizzare il primo sensore fotografico di Huawei Mate 40 Pro: il sensore principale. È un 50 megapixel con 1.9 di apertura e pixel grandi 1.22 micrometri. Si tratta del Sony IMX 700, e già qui c’è la prima cosa interessante ovvero il fatto che si tratta di sensori fotografici realizzati da Sony dietro commissione da parte di Huawei. Sono ovviamente sensori fotografici esclusivi che infatti solo Huawei può utilizzare sui propri smartphone.

È lo stesso utilizzato su tutta la serie Huawei P40 e probabilmente ci toccherà aspettare i P50 prima di vederne uno nuovo.

La caratteristica principale di questo sensore fotografico è la sua grandezza 1/1,28’’, più grande rispetto a qualsiasi altro sensore fotografico, seppur come detto sia da 50 megapixel.

Qui potrebbe sorgere il primo punto di domanda: perché un 50 megapixel è più grande rispetto ad esempio a uno 108 mpx di S20 Ultra che misura 1/1,33’’?

Il segreto sta nei singoli fotoricettori del sensore di Huawei che sono più grandi e, come detto prima, riescono a catturare più luce e quindi realizzare scatti di maggior qualità. Nel concreto il sensore offre una gamma dinamica maggiore ovvero riesce a vedere più livelli di luminosità contemporaneamente.

Non solo, l’IMX 700 ha la peculiarità di avere un filtro Bayer RYYB. Huawei lo ha adottato per la prima volta su Huawei P30 Pro, si tratta di uno schema per la disposizione degli elementi sensibili ai diversi colori alternativo al più classico RGGB. Si trova sopra i Pixel e permette di colorare la fotografia che altrimenti verrebbe salvata in bianco e nero.

Mentre con uno schema RGB (classico) si utilizza la tecnica della mescolanza additiva dei colori primari per generare tutti i colori dello spettro visivo, con uno schema RYB si utilizza la tecnica della mescolanza sottrattiva per riprodurre i colori dello spettro visivo, e la caratteristica più importante è che sostituendo il verde col giallo il sensore è in grado di catturare più luce, e come già abbiamo detto più luce = più qualità.

Qual è l’altra faccia della medaglia? Una possibile minor precisione nella resa del colore, che tuttavia Huawei riesce a gestire adeguatamente lato software.

I limiti di un sensore così grande

Sensore più grande, tutto perfetto giusto? No, Huawei nel cercare di ottenere ciò, ovvero un sensore più grande di tutti, si è decisamente complicata la vita dato che il ridotto spessore dei suoi smartphone la obbliga ad avere un’angolo di campo maggiore del solito, 23 mm invece di 27mm, praticamente una super grandangolare. Per questo Huawei ha dovuto ingegnarsi e ha deciso di utilizzare un porzione inferiore del sensore scattando una foto a 27 mm equivalente, al netto di quando si scatta in RAW o in alta risoluzione. Questo rende quindi un po’ vano avere a disposizione un sensore così ampio, che può però risultare utile per limare possibili errori fotografici o per migliorare la stabilità nei video.

Questo ci fa capire come siamo davvero ai limiti fisici in campo fotografia da smartphone, prossimamente per fare di più bisognerà pensare a form factor diversi, altrimenti sarà davvero complicato.

Huawei Mate 40 Pro: il sensore teleobiettivo a periscopio

Un’alternativa, ma anch’essa con i suoi limiti, è coricare il sensore sul fianco e realizzare un meccanismo a periscopio. Arriviamo così al secondo sensore fotografico: 12 megapixel, f/3.4, con ingrandimento ottico 5x.

Anche qui, è lo stesso sensore utilizzato su Huawei P40 Pro, ma perché inventarsi un meccanismo così particolare? È un sistema che si era già visto su alcune fotocamere Panasoinc Rugged che non potevano avere obiettivi che uscissero dal corpo macchina e lo troviamo ormai su numerosi smartphone in circolazione. Il concetto è molto semplice: per ottenere un ingrandimento ottico è necessario allontanare la lente dal sensore fotografico, così da ottenere lunghezze focali maggiori. Dato che su smartphone spessi meno di 1cm lo spazio è estremamente limitato si è deciso di coricare il sensore e creare un sistema fatto di prismi riflettenti così da ri-creare la distanza necessaria. Anche qui, per limiti fotografici, il sensore non può essere troppo grande, altrimenti avremmo l’effetto contrario di conseguenza i produttori sono obbligati ad usare sensori piccoli, 1/3.56″.

Riguardo il modello non ci sono grosse conferme ma dovrebbe trattarsi del Sony IMX351Y dove la Y sta per l’adozione anche qui di un filtro RYYB invece che RGGB con tutti i vantaggi e svantaggi del caso citato prima.

Huawei Mate 40 Pro: il sensore ultra grandangolare

La vera novità però è sul terzo ed ultimo sensore fotografico, quello ultra grandangolare. Si tratta di un IMX 718, che fa la sua prima comparsa proprio su Mate 40 Pro, un sensore da 20 megapixel con apertura f/1.8 e grande 1/1.54’’, la stessa dimensione dell’IMX 650 da 40 megapixel di Huawei P40 Pro per cui con un rapido calcolo possiamo intuire la principale novità: minor risoluzione ma fotoricettori grandi praticamente il doppio, con tutti i vantaggi che abbiamo sottolineato sul primo sensore.

Se infatti scattiamo una foto ultra-grandangolare con Mate 40 Pro e con P40 Pro possiamo subito notare la differenza di luminosità e di qualità della foto. Una prova tangibile di tutti i concetti teorici che abbiamo visto prima a discapito ovviamente del dettaglio.

Su Huawei Mate 40 Pro+ inoltre, il sensore ultra-grandangolare è dotato di una lente particolare chiamata free-form strutturata diversamente dal solito: invece che avere una forma sferica ha una superficie modellata per indirizzare la luce sulla superficie quadrata del sensore, questo permette di evitare la distorsione a barilotto dell’immagine fin dal principio, così anche da non avere problemi di aberrazione cromatica o rumore lungo i lati della fotografia.

Resta però un difetto, che avevamo visto anche sulla serie P, ovvero che si tratta di un 18 mm equivalente, insomma 108° gradi, e quindi sì, un ultra-grandangolare ma non così ultra se lo paragoniamo ad altri smartphone che ci offrono un 13-14 mm, ovvero con circa 120° di angolo di campo.

Il segreto delle fotocamere di Huawei: innovazione tecnica

Innovazione, innovazione e ancora innovazione, questo insomma è il segreto di Huawei in ambito fotografico, innovazione tecnica a cui si aggiunge la parte software cucita ad arte.

Aspetto, questo, fondamentale nella realizzazione finale degli scatti per andare a superare i limiti fisici. Uno degli aspetti da sempre più apprezzati sugli smartphone Huawei è ad esempio la modalità notturna che permette di fare scatti a mano libera con tempi di esposizione più lunghi, eliminando il micromosso che altrimenti si genererebbe. Oppure in ambito video, dove in tempo reale vengono eseguiti una serie di calcoli tali da poter stabilizzare ulteriormente l’immagine, o ancora nelle varie modalità di scatto come scie luminose, o effetto seta dove anche li si cerca di aumentare i tempi senza bruciare l’immagine. E mi fermo qui altrimenti non finiamo più.

Superiore a questo Mate40 Pro c’è solo il Huawei Mate 40 Pro+, dove come P40 pro+ spinge il sensore periscopio a un 10x ottico creandosi però un problema di bassa qualità a lunghezze focali inferiori, da qui l’introduzione di un sensore teleobiettivo 3x ma questa è tutta un’altra storia che potete approfondire nel nostro approfondimento: quanto è utile il superzoom sugli smartphone? Apple vs Huawei.