Facebook ha l’abitudine di “prendere in prestito” i dati degli utenti per migliorare i propri prodotti e servizi, per poi scusarsi nel momento in cui viene scoperto. Nel corso degli ultimi anni ci sono stati diversi casi che hanno messo in evidenza un simile comportamento, e la cosa è preoccupante sotto diversi punti di vista. Oggi andiamo a fare un piccolo resoconto sui tentativi di Facebook di raccogliere dati e informazioni per i propri scopi.

Project Atlas

Lasciando da parte la questione Cambridge Analytica dello scorso anno, possiamo subito partire con la notizia più recente: Facebook ha infatti pagato alcuni giovani utenti per avere accesso ai loro dati, attraverso l’installazione di un’app apposita, capace di monitorare messaggi privati sui social, chat, e-mail, ricerche sul web, attività di navigazione, informazioni sulla posizione e non solo. Il tutto per 20 dollari al mese.

Il progetto, denominato Project Atlas, e l’app, Facebook Research, sembrano ricordare in qualche modo la vicenda Onavo VPN (di cui parleremo tra poco), ma l’azienda di Zuckerberg ha espressamente negato l’esistenza di qualsiasi punto in comune.

Onavo VPN

Nel 2013, Facebook ha acquisito Onavo, che metteva a disposizione un servizio VPN per bloccare siti potenzialmente dannosi e proteggere i dati. Apple ha successivamente scoperto che l’app è stata capace di raccogliere i dati degli utenti sui siti visitati e sulle app utilizzate sui vari dispositivi, e l’ha bannata dall’App Store.

Storie sponsorizzate

Le Storie sponsorizzate sono state introdotte nel 2011 e hanno sfruttato il contenuto degli utenti (tra cui check-in, foto o commenti) per creare annunci pubblicitari di alcune aziende. Non essendoci alcun modo per evitare tutto ciò, un gruppo di persone fece causa a Facebook per aver utilizzato le proprie informazioni senza consenso. Morale? La compagnia ha dovuto spendere 9 milioni di dollari per la class action (614.000 persone in totale) e chiudere le Storie sponsorizzate.

Chiamate e messaggi su Android

In seguito allo scandalo Cambridge Analytica, Facebook ha permesso agli utenti di scaricare i dati raccolti su di loro: nel farlo, questi si sono accorti che il social network ha potuto avere accesso alla cronologia delle chiamate e ai metadati degli SMS. Secondo ArsTechnica, Facebook avrebbe raccolto tali dati dagli smartphone Android per anni attraverso la sua app.

L’azienda di Zuckerberg ha risposto alle accuse sostenendo di aver chiesto i permessi al momento dell’installazione, ma per il modo in cui sono strutturati su Android è difficile comprendere esattamente quali dati specifici si possano raccogliere; inoltre, sul sistema operativo, la gestione più avanzata dei permessi è stata introdotta solo nel 2015.

Profili “ombra” e non solo

E per quanto riguarda le persone che non sono mai state iscritte a Facebook? La questione è saltata fuori al Congresso degli Stati Uniti durante la testimonianza di Zuckerberg. I cosiddetto Profili “ombra” sono costituiti dalle informazioni catalogate dal social per ogni utente non iscritto: secondo un report di Gizmodo, persone che non sono mai state registrate, ma che hanno magari interagito con utenti iscritti a Facebook attraverso un indirizzo e-mail non connesso al profilo, possono infatti comparire nella sezione delle “persone che potresti conoscere”.

Inoltre, Frederike Kaltheuner e Christopher Weatherhead della no-profit Privacy International, hanno dimostrato come Facebook raccolga dati dai telefoni Android, anche grazie ad app di terze parti.

In conclusione

Come abbiamo visto, sono diversi i modi in cui Facebook è o è stato in grado di raccogliere dati, con o senza il nostro esplicito consenso, e la recente notizia sui piani di “fusione” di WhatsApp, Instagram e Messenger non può far altro che preoccupare (anche l’UE a quanto pare). Ci sarà mai un cambio di rotta da parte dell’azienda di Zuckerberg? Fateci sapere la vostra nel solito box qui in basso.