Dopo quasi un decennio, la causa intentata da Oracle nei confronti di Google per una presunta violazione del copyright dovrebbe finalmente rispondere ad una fondamentale domanda: è possibile possedere i comandi di base di un linguaggio di programmazione?

Nei prossimi mesi la Suprema Corte, investita della controversia, dovrebbe mettere la parola “fine” alla vicenda anche se sono sempre più le aziende preoccupate dalla soluzione che verrà adottata.

Negli anni sono stati numerosi i big del mondo della tecnologia a fornire il proprio supporto al colosso di Mountain View in tale controversia giudiziaria, da Microsoft a IBM, da CCIA a Internet Association (due grossi gruppi che rappresentano diverse società dell’industria tecnologica), tutti convinti che una sentenza favorevole ad Oracle potrebbe rappresentare un pericoloso precedente per tutta l’industria hi tech.

Ricordiamo che la controversia ruota attorno ad alcune righe chiave di codice utilizzate da Google per costruire Android, sistema operativo realizzato con il supporto della piattaforma Java di Sun Microsystems. Quando nel 2010 Oracle ha acquisito Sun, ha subito accusato della violazione di brevetti e diritti d’autore relativi a Java il colosso di Mountain View, che si è difeso sostenendo che queste linee comprendevano una piccola parte di Android, rappresentando l’unico modo per consentire agli sviluppatori di scrivere codice funzionale per Java.

Gli addetti ai lavori ritengono che una sconfitta di Google potrebbe danneggiare l’intero ecosistema informatico, in quanto alcune aziende sarebbero in grado di proteggere il copyright e limitare le interfacce software di base che consentono agli sviluppatori di terze parti di lavorare con le loro piattaforme.

In pratica, oltre ad una questione di eventuali danni che Google potrebbe dover pagare, c’è molto di più: il rischio è quello di “elevare il codice funzionale allo stesso livello di protezione di copyright della creatività espressa in un romanzo”, con tutte le inevitabili conseguenze.

Proprio per tale motivo, difficilmente la decisione della Suprema Corte sarà in grado di mettere davvero la parola “fine” alla vicenda.