L’Unione Europea ha nuovamente puntato i propri riflettori su Google, questa volta con un approccio decisamente diverso rispetto al passato. La Commissione Europea ha infatti portato a compimento una lunga investigazione durata quattro anni sul business pubblicitario del colosso di Mountain View, ma con un esito sanzionatorio che sta facendo discutere.

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Come sono cambiate le sanzioni Antitrust

La multa inflitta a Google è di importo contenuto, soprattutto se confrontato con le cifre astronomiche del passato. Si tratta pertanto di una sorta di “moderazione” rispetto all’approccio precedente, che è tutt’altro che casuale: riflette infatti la nuova filosofia regolatoria europea voluta da Teresa Ribera, la nuova responsabile antitrust dell’UE, che ha scelto di abbracciare una strategia profondamente diversa da quella della sua predecessora Margrethe Vestager.

Di fatto, mentre in passato l’Europa puntava su sanzioni miliardarie per scoraggiare le pratiche anticoncorrenziali, oggi l’accento si sposta sulla prevenzione e sulla cessazione immediata dei comportamenti scorretti. L’obiettivo non è dunque solo punire le violazioni dopo che si sono verificate, ma intervenire attivamente per modificare le dinamiche di mercato prima che i danni diventino irreparabili.

Che cosa ha scoperto l’indagine

L’inchiesta è scaturita da una denuncia del Consiglio Europeo degli Editori, che ha accusato Google di favorire sistematicamente i propri servizi pubblicitari a discapito della concorrenza. Il settore adtech è infatti una delle colonne fondamentali dell’impero economico di Google, in cui l’azienda opera contemporaneamente come fornitore di tecnologie pubblicitarie, intermediario e venditore di spazi pubblicitari.

Una simile posizione dominante ha sollevato questioni fondamentali sulla neutralità competitiva, poiché Google si trova nella peculiare situazione di essere contemporaneamente giudice e parte nelle dinamiche del mercato pubblicitario digitale. La capacità dell’azienda di controllare multiple fasi della catena pubblicitaria le conferisce infatti un vantaggio potenzialmente sleale rispetto ai concorrenti che operano solo in specifici segmenti del mercato.

Non è la prima volta che Google finisce sotto i riflettori

La storia dei rapporti tra Google e le authority europee è costellata di scontri clamorosi e sanzioni record. Nel 2018, per esempio, l’azienda ha dovuto versare 4,3 miliardi di euro per le pratiche considerate anticoncorrenziali legate al sistema operativo Android. L’accusa riguardava l’uso del sistema operativo mobile come strumento per soffocare la concorrenza nel mercato dei dispositivi mobili.

Un anno prima, nel 2017, Google aveva già affrontato una multa di 2,42 miliardi di euro per aver favorito il proprio servizio di comparazione prezzi nei risultati di ricerca europei. Precedenti che hanno contribuito a costruire un clima di tensione costante tra il gigante tecnologico e le autorità di Bruxelles, rendendo ogni nuovo procedimento un evento di rilevanza internazionale.

La crescente attenzione dei regolatori verso Google riflette dunque la centralità sempre maggiore che l’azienda ha acquisito nella vita quotidiana di milioni di europei. I servizi di ricerca, email, intrattenimento e produttività di Google sono diventati infrastrutture digitali essenziali, creando una dipendenza che va ben oltre la semplice preferenza del consumatore.

Una pervasività che è anche alimentata dal modello economico stesso di Google, basato sulla gratuità apparente dei servizi in cambio della raccolta massiva di dati per la pubblicità mirata. Nel 2024, i ricavi pubblicitari di Google hanno raggiunto 264,6 miliardi di dollari, pesando per il 75,6% del fatturato totale dell’azienda.

Il futuro riserverà ancora cambiamenti

Al netto di quanto abbiamo sopra ricordato, è molto probabile che l’approccio europeo nei confronti della regolamentazione delle big tech possa cambiare ancora, orientandosi sempre più verso un modello più proattivo, che privilegi il dialogo e la correzione tempestiva dei comportamenti problematici.

Probabilmente, una simile evoluzione è favorita anche dalla maggiore consapevolezza della complessità del mercato digitale moderno, in cui le tradizionali logiche punitive potrebbero risultare inefficaci nel lungo termine.