Sempre più spesso negli ultimi anni capita di ascoltare o leggere discorsi sul fatto che i giovani (categoria mai definita e omnicomprensiva, politicamente scorretta e che sbaglia sempre, per definizione) utilizzino questi nuovi mezzi tecnologici per comunicare e per questo creino distanze tra le persone incommensurabili e mai sperimentate prima. Non mi trovo affatto d’accordo con questa posizione: la distanza tra le persone non è data dal mezzo di comunicazione.

Per quanto ci si sforzi di sostenere questa tesi, infatti, non è l’uso di mezzi di comunicazione come i social network o gli instant messenger ad aumentare le distanze tra le persone e a rendere i rapporti interpersonali meno personali: è l’approccio alla comunicazione con l’altro a cambiare le carte in tavola. Non è infatti l’impiego di un mezzo a mutare l’approccio che si ha alla comunicazione: così come oggigiorno ci sono persone che stanno sempre incollate allo smartphone e non si curano quasi di ciò che hanno intorno, fino a qualche anno fa c’erano persone che semplicemente si astraevano dal contesto. Il risultato è lo stesso, ma cambia il modo in cui lo si ottiene. Potremmo discutere del fatto che gli smartphone facilitino questo aspetto e richiedano sempre più che si facciano più cose insieme (il multitasking, per gli anglofoni), distraendo la nostra attenzione da quello che abbiamo intorno, ma questo non cambia l’assunto di fondo che la colpa non è del mezzo.

Isole nel mare

Il problema a monte di tutto questo è relativamente semplice: ciascuno di noi vive in un suo universo personale popolato da abitudini, esperienze, ricordi, capacità e sensazioni che sono diversi per ciascuno di noi. Il ricordo che ho io dell’estratto di carne spalmato in uno strato sottile e uniforme sui cracker croccanti quando ero piccolo e mi trovavo nella cucina di mio nonno è differente rispetto a quello di chiunque altro e mi porta alla mente sensazioni che solo io conosco. Se preferite un esempio letterario, ci sono le madeleine di Marcel Proust ne Alla ricerca del tempo perduto. Allo stesso modo, la mia visione e la mia esperienza del mondo sono influenzati dalle esperienze grandi e piccole che ho avuto nel corso della mia vita e che, in definitiva, definiscono la mia identità ma mi rendono in qualche modo solo perché impossibilitato a comunicare realmente con gli altri.

“Sono uscito stamattina / E non potevo credere a ciò che vedevo / Cento miliardi di bottiglie / lasciate dal mare sulla spiaggia / Sembra che non sia il solo ad essere solo / Cento miliardi di naufraghi / in cerca di una casa” (Police, Message in a bottle).

Messaggi nella bottiglia

Il modo in cui comunichiamo – il modo in cui sto cercando di passarvi le mie idee – è di per sé limitato: le parole sono gabbie all’interno delle quali costringiamo la nostra essenza e l’essenza del nostro percepire il mondo; le parole sono l’essenza del nostro pensiero ma sono anche una pallida rappresentazione della nostra realtà personale che non potrà mai davvero rappresentare integralmente ciò che siamo e ciò che pensiamo, ma si limiteranno sempre ad essere un’imitazione non completa per quanto realistica – un po’ come una statua o un dipinto possono avvicinarsi a rappresentare una persona, ma non si avvicineranno mai alla realtà di tale persona.

Le parole esprimono concetti astratti, sensazioni, emozioni, stati d’animo e collegamenti mentali, ma non potranno mai davvero far capire qualcosa ad un’altra persona se questa non è simile nei pensieri a chi sta esprimendo un concetto o non è in qualche modo preparata ad accoglierlo. Non si può descrivere il Sole a chi non l’ha mai visto, non più di quanto sia possibile esprimere il concetto di “insieme” senza ricorrere a sinonimi. Dopotutto sono le parole a creare la nostra realtà e a plasmare il nostro pensiero, più che il contrario. Viviamo di parole e la nostra realtà è limitata a quello che riusciamo a pensare e descrivere con le parole.

Luci nel cielo

Ebbene, questo è l’aspetto visibile di un problema di fondo più grande – un po’ come la proverbiale punta dell’iceberg che spunta dal mare ma che nasconde una massa ben più grande sotto di sé. La grande sfida che l’Uomo deve affrontare è l’impossibilità di comunicare realmente come vorrebbe. Non solo è per noi pressoché impossibile comunicare con altre forme di vita (cerchiamo la vita nello spazio profondo con i telescopi senza renderci conto della ricchezza della vita sul nostro pianeta!), ma risulta difficile anche comunicare tra di noi. Il primo aspetto può essere in qualche modo perdonato, pensando al trascendentale di kantiana memoria e al fatto che, in fondo, non siamo che scimmie scese dagli alberi la cui capacità di ragionamento è comunque in qualche modo plasmata e limitata da questo fatto. Il secondo punto, però, risulta meno facile da capire di primo acchito.

Non credo che sia un caso che larga parte della produzione degli autori di fantascienza, con particolare riferimento a Stanislaw Lem, si concentri proprio sulla comunicazione e sui rapporti tra le persone. Quella che viene spesso erroneamente vista come la letteratura più fredda e impersonale è in realtà la più ricca di spunti per questi ragionamenti. Se ci è pressoché impossibile comprendere animali intelligenti come delfini e balene, che hanno linguaggi complessi e strutturati ma estremamente differenti dai nostri, risulta meno immediato capire perché non riusciamo a comprenderci tra di noi.

La motivazione è da ricercare proprio in quanto dicevo poc’anzi: ciascuno di noi vive la realtà che ci circonda in maniera diverse e vede sfumature differenti nello stesso quadro, facendo sì che sia molto difficile comunicare tra di noi.

I compromessi della comunicazione

L’unico modo per creare un collegamento tra entità così differenti è scendere a compromessi: ecco quindi che entra in campo la parola, che permette di stabilire un contatto e trasmettere informazioni, anche se in maniera imperfetta e incompleta. Non abbiamo finora scoperto niente di meglio, quindi dobbiamo accontentarci di questo pur rimanendo sempre consci di tutte le limitazioni. Ecco quindi perché io posso descrivervi i cracker con l’estratto di carne, ma non potrò mai farvi capire davvero cosa io provi ricordandoli.

La distanza che ci separa è incolmabile, ma può essere resa in qualche modo inferiore sforzandoci di comunicare in maniera comprensibile con l’altro. La comunicazione è sempre reale, sia che avvenga tramite uno smartphone o un computer sia che avvenga di persona. I rapporti personali non sono meno reali perché compiuti a distanza (che differenza reale c’è tra una e-mail e una lettera battuta a macchina?), ma semmai oggi abbiamo la possibilità di mantenere contatti reali con chiunque nel mondo molto più che in qualunque momento del passato.

La distanza della tecnologia

La tecnologia quindi aumenta la distanza tra le persone? La risposta è no, o almeno non sempre. È vero che non possiamo esprimerci con linguaggi non verbali quando usiamo strumenti tecnologici per comunicare, ma è pur vero che questi ci permettono di comunicare quando questo non sarebbe possibile. Questo può essere un male in alcuni casi (ad esempio perché il datore di lavoro potrebbe continuare a pretendere la nostra attenzione mentre siamo in vacanza), ma un bene incredibilmente grande in tanti altri. Tutto sta, come sempre, nel comprendere dove stia la mezza misura dove si trova la virtù (in medio stat virtus).

In una realtà in cui siamo come isole nel mare, separate e impossibilitate ad unirsi, la tecnologia è forse quel salvagente che ci può permettere di rimanere a galla e trovare metodi migliori per comunicare.

Forse è perché sono inguaribilmente ottimista riguardo ciò che l’Uomo può ottenere con la scienza e la tecnologia e, da qualche parte del profondo, c’è una scintilla di positivismo, ma sono convinto che l’epoca di transizione in cui stiamo vivendo porterà a qualcosa di meglio. Con la speranza di ridurre ancora quella insopportabile distanza tra di noi.