Continua anche in questi primi giorni del 2015 (auguri a tutti!) il diario sull’utilizzo di Chrome OS dopo una interruzione dovuta al nuovo anno e al fatto che ho dovuto ridurre il mio utilizzo del Chromebook in favore di altri dispositivi – vi spiegherò il perché nel corso dell’editoriale. Se vi siete persi le puntate precedenti potete trovarle nella pagina dedicata ad Alla scoperta di Chrome OS.

Prima novità: ho attivato la Developer Mode e sto scrivendo una guida su come fare la stessa cosa su tutti i dispositivi con Chrome OS. La procedura è estremamente semplice, anche se un po’ noiosa, e permette poi di fare un sacco di cose carine come eseguire Ubuntu insieme a Chrome OS o addirittura di eseguirlo in una finestra (no, non sto scherzando!). Lascio a voi giudicare l’utilità di una soluzione del genere, ma il solo fatto che si può fare è positivo. Non ho ancora fatto le dovute prove e per il momento rimando il mio giudizio a domani o a lunedì, quando avrò utilizzato di più questa funzionalità.

Seconda novità: ho scoperto un paio di cose interessanti su Chrome OS. La prima è che un movimento verso il basso con tre dita sul touchpad permette di attivare l’effetto Exposé di cui parlavo nella seconda puntata della rubrica e che permette di avere a portata di mano. La seconda è che si può spostare la barra con le icone sui lati sinistro e destro cliccando con il tasto destro sul menù delle applicazioni.

Essendo uno studente universitario mi capita di frequente di dover scrivere appunti di vario genere e ho preso l’abitudine di scrivermi da solo le dispense prendendo spunto dai libri e dal materiale messo a disposizione degli insegnanti, perché mi aiuta a studiare meglio e a fissare meglio nella memoria i concetti. Per l’esame che sto preparando ora sto scrivendo tutti gli appunti in un file che ho caricato sul servizio di cloud storage Copy, così da averlo sempre sincronizzato tra i vari dispositivi e da poterlo avere disponibile con le ultime modifiche sia che io usi il notebook in università sia che stia usando il PC fisso a casa. Il file è un documento in formato .odt, il formato libero di LibreOffice (che uso) e OpenOffice. Dato che non è disponibile un’applicazione Copy per Chrome OS, per modificare il documento con il Chromebook l’ho precedentemente convertito in .doc anche se non era strettamente necessario, ma purtroppo non sono potuto andare molto oltre: ho messo il file su una chiavetta e qui sono cominciati i problemi. Anche facendo doppio click sul file non si è aperta alcuna finestra di Google Documenti. Per modificare il file è stato necessario caricarlo su Google Drive, ma a quel punto non sono riuscito a mantenere la stessa formattazione che avevo ottenuto con LibreOffice né a salvare il documento sulla chiavetta una volta terminata la modifica. In ogni caso questo ha interrotto il mio flusso di lavoro, perché per modificare il documento con il Chromebook dovrei rinunciare ad usare il sistema ampiamente testato e comodo che uso ora.

Prima di scrivere questo pezzo mi sono comunque informato: è possibile modificare documenti presenti su chiavette e altri dispositivi di memorizzazione come descritto in questa pagina, ma è necessario avere Google Documenti aggiornato all’ultima versione e utilizzare la nuova versione di Google Drive. Alla fine sono riuscito a modificare i documenti sulla mia chiavetta, ma ho dovuto riavviare il Chromebook e smanettare un po’. Ritengo però che questi aspetti dovrebbero già essere risolti da molto tempo perché è inevitabile che si lavori con documenti anche offline se si ha la possibilità di usare dispositivi di memorizzazione esterni. Google sta lavorando nella giusta direzione, ma non ritengo che al momento i risultati siano sufficienti per un utilizzo “normale” di un computer al giorno d’oggi, anche perché non tutti vogliono o possono far passare i documenti per la “grande nuvola” – o magari non vogliono metterli specificamente sui server di Google.

Un aspetto positivo di Chrome OS che è anche una critica a Google è il fatto che ho dovuto ripristinare il sistema operativo per attivare la Developer Mode; questo ha significato perdere tutte le impostazioni e i file salvati in locale. In realtà, però, non ho perso alcunché, dal momento che dopo aver effettuato il primo accesso il sistema operativo ha riscaricato in automatico le applicazioni e ha ripristinato anche tutte le impostazioni che avevo modificato durante l’uso. Questo è un aspetto decisamente positivo che migliora sensibilmente l’esperienza d’uso: anche cambiando dispositivo, infatti, troviamo le stesse applicazioni installate con le stesse impostazioni. L’aspetto più critico, invece, nasce guardando il mondo Android: perché Google non può fare la stessa cosa anche con il suo sistema operativo mobile? Perché i backup devono essere manuali e/o dipendenti dalla volontà degli sviluppatori di supportare il sistema di backup introdotto con Android 5.0 Lollipop? Questo è un dilemma cui non si può trovare risposta se non entrando nella testa degli ingegneri di Google, ma che fa un po’ rabbia pensando a quanto sarebbe (relativamente) semplice adottare una soluzione simile anche su Android.

Piccola nota a margine: ho scritto questo editoriale rigorosamente sul Chromebook ascoltando la colonna sonora di Interstellar, il film di Christopher Nolan uscito lo scorso Novembre. Vi consiglio caldamente di ascoltarla!