Il Wi-Fi non fa male alla salute e non è pericoloso. A ritornare sull’argomento è Kenneth R. Foster, professore emerito dell’Università della Pennsylvania (USA), pubblicando un nuovo studio per confutare i dubbi degli utenti.

I dispositivi Wi-Fi contribuiscono sicuramente all’inquinamento elettromagnetico, ma il loro apporto viene considerato come insignificante. Sappiamo che router, accesso point o altri dispositivi Wi-Fi trasferiscono informazioni sfruttando lunghezze d’onda inferiori a quelle della luce, e non ci sono rischi di alterazione delle molecole che compongono i tessuti del corpo umano (radiazioni non ionizzanti).

Il segnale emesso da un router Wi-Fi, in ogni caso, non supera solitamente i 100 mW, valore ampiamente al di sotto della soglia considerabile come potenzialmente pericolosa: inoltre basta allontanarsi di qualche centimetro o metro per vedere decrescere rapidamente tali valori (per esempio a due metri si scende da 100 mW, o 0,1 W, a 0,025 W). Basti pensare che, in base ai dati, l’assorbimento di onde elettromagnetiche generate da un hotspot Wi-Fi in un intero anno può essere paragonato a una chiamata su telefono mobile di appena 20 minuti.

Sulla questione, come detto, è intervenuto di nuovo il professor Kenneth R. Foster, insistendo su alcune evidenze scientifiche per fugare eventuali dubbi residui, con particolare riferimento all’ambito scolastico. I dispositivi Wi-Fi lavorano nello spettro delle microonde, e per tipologia di impulsi e potenze in gioco, un router può essere paragonato, al massimo, all’attività di un singolo telefono mobile in uso all’interno dello stesso ambiente.

Foster cita anche uno studio del 2017 di Lena Hedendahl, che ha dimostrato come il livello di esposizione a radiofrequenze dei singoli individui all’interno di una scuola con utilizzo continuo di router Wi-Fi fosse identico a quello rilevato all’esterno dell’ambiente. Risultati simili sono stati ottenuti da Elisabeth Cardis e un gruppo di studiosi dell’Università di Barcellona: dopo aver esposto circa 530 ragazzi, hanno evidenziato esposizioni da radiofrequenze nelle scuole generalmente paragonabili o inferiori a quelle registrate in altri luoghi.

Se volete approfondire l’argomento potete leggere la pubblicazione di Kenneth R. Foster seguendo questo link.

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