La sentenza numero 1822/2020 della Corte di Cassazione, sezione VI penale, ci permette di capire una volta per tutte un concetto fino ad oggi poco chiaro: i messaggi scambiati all’interno di WhatsApp hanno una rilevanza probatoria.

In altre parole, le conversazioni scambiate all’interno dell’applicazione di instant messaging più utilizzata al mondo, hanno una natura documentale. All’interno del testo della sentenza si evince come sia i messaggi scambiati su WhatsApp, che i messaggi inviati come semplici SMS, e quindi conservati all’interno della memoria dello smartphone, possano essere considerati avanti natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p.

I messaggi di WhatsApp hanno una natura documentale

Questo stabilisce chiaramente che tutte queste informazioni possono essere legittimamente acquisite durante il processo ed essere anche utilizzate ai fini della decisione. La sentenza scredita quindi il piano di difesa che tentava di accomunare queste conversazioni all’articolo 254 c.p.p. che invece regola il concetto di “corrispondenza”.

Abbandonando un po’ il linguaggio avvocatesco, la sentenza della Corte di Cassazione serve a stabilire un concetto piuttosto importante: tutte le conversazioni scambiate tramite WhatsApp (o anche via SMS), possono essere utilizzate in sede giuridica come elemento accusatorio.

Questo concetto avrà sicuramente un lungo strascico in tutte le cause attualmente in corso, e dovrebbe servire anche da monito a chi potrebbe pensare bene – sbagliando – di essere immune dalle conseguenze anche di carattere penale utilizzando un’applicazione di messaggistica come WhatsApp.