Certe volte, alcune leggi passano per il canonico “via” per far ritirare al parlamentare che le propone le 20’000 lire del vecchio Monopoli. Altre volte, invece, alcune leggi vengono direttamente bocciate senza manco passare dal “via”. Poche settimane fa il web intero s’era rivoltato contro la legge SOPA proposta negli Stati Uniti: lo Stop Online Piracy Act è stato visto come un male peggiore di quello che avrebbe voluto curare dagli utenti, dai grandi player del web e della tecnologia (da Google a nVIDIA, da Facebook a Wikipedia) fino ai consumatori la legge è stata bollata come “liberticida” e “inaccettabile” senza se e senza ma. Ciò che è successo è storia: anche l’amministrazione Obama si è detta contraria alla misura, che è dunque stata fermata.

Pare che, tuttavia, in Italia il messaggio non sia stato recepito da tutti. Il deputato della Lega Nord Giovanni Fava ha infatti proposto un paio di settimane fa un emendamento alla legge comunitaria 2011 che prendeva a modello il SOPA statunitense. Di solito si prendono a modello opere di una certa bellezza per cercare di renderle migliori, o in ogni caso si elevano a modelli esempi in qualche modo positivi. A quanto pare, però, Fava ha preso a modello il SOPA e, insoddisfatto della “troppa libertà” concessa da tale legge, l’ha modificata riuscendo anche a renderla peggiore.

Giovanni Fava. Un genio della politica.

Se infatti nella legge statunitense l’idea era di far approvare il blocco dei contenuti da un’Autorità giudiziaria preposta a tale compito, con l’obiettivo di accertare quali fossero le reali infrazioni del copyright, nella proposta di legge italiana ciò non avviene. L’avvocato Guido Scorza fa notare come secondo questo emendamento “chiunque possa chiedere a un fornitore di servizi di hosting di rimuovere qualsivoglia contenuto pubblicato online da un utente sulla base del semplice sospetto – non accertato da alcuna Autorità giudiziaria né amministrativa – che si tratti di un contenuto che viola i propri diritti d’autore e che, qualora il provider non ottemperi alla richiesta, possa essere ritenuto responsabile”. Infatti “si tratta di un’autentica forma di privatizzazione della giustizia che affida la libertà di manifestazione del pensiero sul WEB alla assoluta discrezionalità di soggetti privati” che, vi lasciamo immaginare, possono utilizzare questa facoltà come meglio credono con tutte le “preferenze” economiche, politiche, sociali e religiose che vogliono.

La dose viene rincarata dal fatto che qualunque fornitore di servizi online che pubblicizzi in qualche modo strumenti che possono essere utilizzati illegalmente può essere ritenuto responsabile delle violazioni commesse dai clienti. Il pensiero va immediatamente a YouTube: nell’impossibilità di controllare quali video vengono caricati, YouTube non può far altro che accettarli tutti e in questo modo si renderebbe colpevole delle stesse violazioni commesse dagli utenti.

Scorza continua: “Una filosofia radicalmente diversa da quella sin qui applicata per giornali, radio, televisione e che rischia di paralizzare il commercio elettronico italiano già in crisi. Siamo di fronte a un’iniziativa legislativa anacronistica, liberticida e che minaccia di affossare definitivamente lo sviluppo di Internet in Italia“.

Per una volta, tuttavia, pare che il lieto fine ci sia stato anche nel nostro Parlamento: la legge è stata affossata da 365 voti contrari, contro appena 57 favorevoli alla proposta. La libertà di parola, di pensiero e di opinione che vige online non deve essere ridotta a causa di un non meglio specificato diritto di grandi corporazioni di cercare di far aumentare i propri incassi censurando il web.

La difesa di quello che è forse lo strumento più democratico e paritario ad oggi esistente deve essere sempre una priorità, così come dev’essere una priorità l’affossamento di tutti i tentativi di minare tale libertà.