Nell’ultimo periodo, soprattutto dopo lo scandalo Cambridge Analytica, la sicurezza informatica è al centro dei maggiori dibattiti in tutto il mondo. Le questioni della “vendita” dei nostri dati e dei guadagni legati alle società che gestiscono la pubblicità sul web sono adesso diventati dei punti su cui bisogna lavorare per migliorare l’esperienza utente sui vari social network.

Dopo l’uscita di scena del CEO di WhatsApp, Jan Koum, che si pensa sia stata conseguenza delle pratiche condotte dalla multinazionale per l’indebolimento della crittografia end-to-end sulla sua creazione, Facebook ha deciso di discutere sui pro e conto di questa tecnologia nella sua rubrica “Hard Questions” pubblicata sulla newsroom ufficiale. Per la scrittura di questo articolo, la società ha dato la penna in mano a Gail Kent, la quale ha lavorato per vent’anni nella British National Crime Agency prima di entrare a far parte di essa.

Lei ci spiega come la crittografia end-to-end sia molto importante, ma bisogna vederla a 360°. Infatti, chiarisce che l’utilizzo di questa tecnologia assicura senza dubbio la sicurezza delle persone, ma allo stesso tempo permette anche a criminali di scambiarsi fra di loro informazioni senza che questi possano essere scoperti:

Abbiamo usato la crittografia su base giornaliera. Ha reso possibile comunicare in modo sicuro all’interno della nostra organizzazione, nonché di altre agenzie e fonti sul campo. Ma potrebbe anche creare sfide per ottenere prove. Così ho sperimentato in prima persona i compromessi della crittografia.

Nonostante ciò, si dimostra molto legato a questo tipo di crittografia ribadendo che senza di essa molte persone si sentirebbero perse e ingannate da un sistema in cui le proprie conversazioni potrebbero essere lette dall’esterno:

[Rimuoverla significherebbe] rimuovere un importante livello di sicurezza per le centinaia di milioni di persone rispettose della legge che si affidano alla crittografia end-to-end. Inoltre, la modifica delle nostre pratiche di crittografia non impedirà ai cattivi di utilizzare la crittografia end-to-end poiché sono disponibili altri servizi meno responsabili.

É evidente come Gail Kent sia a favore dell’utilizzo di questa metodologia di sicurezza e, allo stesso tempo, è tangibile l’interesse da parte sua a tenerla attiva su WhatsApp. C’è, però, da dire che in tutta questa sua riflessione lui non cita mai Koum che ha collaborato in prima persona per far si che questa crittografia fosse introdotta sul social di messaggistica.

Inoltre, Facebook Messenger non ha e non ha mai avuto la crittografia end-to-end attiva di default, ma attivabile solo per mezzo di una macchinosa procedura. Parole belle, veritiere, che forse nascondono qualcosa che Facebook non vuole comunicare al mondo.