La strada per la diffusione del 5G in Italia sarebbe leggermente in salita. Si arriva a questa conclusione leggendo la relazione dell’ITU – Unione internazionale delle telecomunicazioni – secondo cui le normative sulle emissioni di Paesi come Italia, Cina, India, Polonia, Russia e Svizzera, ed anche città come Parigi e Bruxelles, sarebbero il classico “collo di bottiglia”.

Infatti, rispetto alle linee guida internazionali proposte dall’International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection e dall’Institute of Electrical and Electronic Engineers, queste nazioni e agglomerati urbani avrebbero limitazioni più stringenti in fatto di emissioni elettromagnetiche.

Dal punto di vista del cittadino che guarda a sé e all’ambiente, non esistono livelli di tutela esagerati e dunque il problema quasi non esiste. Dal punto di vista di chi deve sviluppare la rete – il 5G in questo caso – e deve confrontarsi con esigenze infrastrutturali ben precise, potrebbe essere una bella gatta da pelare che dilaterebbe le tempistiche d’arrivo della tecnologia sul mercato.

A patto, ovviamente, di trovare una soluzione che accontenti tutti. Una potrebbe sarebbe quella di “spalmare” l’infrastruttura trasmittente su un numero di stazioni più ampio, per tenere bassa la potenza sviluppata da ciascuna di esse. In questo caso, però, l’inconveniente si sposterebbe sui costi, che crescerebbero a dismisura proprio come il numero di antenne da posizionare.

Toccherà ai gestori trovare la soluzione che accontenti tecnologia, salute ed ambiente. Il tempo stringe.

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