È sicuramente destinata a creare numerose polemiche e accese discussioni una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha ammesso un SMS come prova in un processo civile.

La vicenda vedeva coinvolti due genitori e una richiesta relativa alla retta dell’asilo del loro figlio. Il padre non intendeva corrispondere la propria quota affermando di non aver mai autorizzato la spesa, ma la moglie ha portato come prova un SMS nel quale l’uomo aveva acconsentito alla spesa.

La sentenza pone dunque sullo stesso piano, per la prima volta, i messaggi digitali e quelli cartacei. A questo punto è possibile che la sentenza costituisca un importante precedente e consenta l’utilizzo di SMS, e-mail e messaggi WhatsApp, o provenienti da altre app di messaggistica, come prove nel corso di procedimenti giudiziari.

A oggi solo la PEC, certificata e tracciabile, era ammessa come prova, ma le cose potrebbero cambiare presto. Restano aperti numerosi interrogativi, relativi alle possibili manipolazioni a cui potrebbero essere stati sottoposti i messaggi utilizzati. la sentenza inverte anche l’onere della prova, che passa dal mittente al destinatario.

Quest’ultimo dovrà infatti dimostrare la non corrispondenza dei fatti attraverso messaggi o e-mail. La strada per una legislazione chiara in merito sembra alquanto ardua, così come la possibilità di avere la certezza assoluta in merito alla provenienza di ogni singolo messaggio ammesso nei processi.