Raccogliere dati dagli utenti, con ogni mezzo possibile, per mantenere il vantaggio competitivo sui concorrenti. Questa in sostanza la politica alle spalle di Project Atlas, l’applicazione che sta provocando un nuovo scandalo per Facebook e che ha coinvolto anche Google.

Entrambe le compagnie si sono viste revocare da Apple il certificato aziendale, che permette alle compagnie di sviluppare applicazioni per uso interno. Nel dettaglio la compagnia di Mark Zuckerberg conferma di aver raccolto i dati di oltre 187.000 utenti, 34.000 dei quali minorenni.

In particolare 31.00 utenti (4.300 minorenni), risiedono negli USA, il resto dei dati è stato raccolto in India. L’applicazione richiedeva i permessi per poter monitorare tutto il traffico effettuato dagli smartphone nei quali era installata l’app, distribuita pubblicamente all’esterno dell’App Store, contravvenendo dunque alle regole di Apple.

Anche Google si è vista revocare il certificato per un comportamento simile, con diverse app distribuite al di fuori dell’app store per eludere la sorveglianza del colosso di Cupertino. Mentre Google ammette di aver distribuito le app con un certificato aziendale per errore, Facebook difende il proprio operato affermando di non aver mai raccolto dati sensibili, in particolare quelli legati alla salute e alle transazioni economiche.

Ancora una volta dunque la compagnia di Zuckerberg dimostra un comportamento spregiudicato nel trattamento dei dati degli utenti, raccolti in questo caso in maniera consensuale, ammettendo di aver analizzato in alcuni casi dati non in target e quindi non consoni allo scopo delle proprie ricerche.

Lo dimostra la nuova applicazione Facebook Study, di cui vi abbiamo parlato in questo articolo, rivolta a utenti maggiorenni e con scopi dichiarati in maniera più trasparente, un comportamento che, come afferma il senatore americano Blumenthal, “è sconsiderato e fuori luogo“.

Anche la Federal Trade Commission, che da tempo indaga su Facebook, è convinta che la compagnia abbia deciso da tempo di fare orecchie da mercante in fatto di privacy. Nuove email compromettenti confermerebbero che Zuckerberg era al corrente dei gravi problemi legati alla privacy di Facebook e delle pratiche “dubbie” adottate per la sua gestione.

In particolare numerosi messaggi interni metterebbero in evidenza il fatto che né Zuckerberg né numerosi dirigenti della società ritenessero prioritario il rispetto del decreto consensuale siglato con la FTC nel 2012, che impegnava Facebook a migliorare le politiche sulla privacy.

Dal canto suo il fondatore di Facebook nega qualsiasi comportamento illecito, come afferma in una nota rilasciata dal portavoce della compagnia:

Abbiamo pienamente cooperato con le indagini della FTC e fornito decine di migliaia di documenti, email e file.  Continuiamo a lavorare con loro e ci auguriamo di arrivare a un’appropriata soluzione. Facebook e i suoi manager, incluso Mark, si battono per rispettare sempre tutte le leggi e in nessun momento Mark o un altro dipendente di Facebook ha violato deliberatamente gli obblighi della società nell’ambito del decreto consensuale.