La presenza della crittografia end-to-end è ormai una sorta di cancello di sicurezza che permette a ognuno di noi di chattare senza paura di vedere i propri fatti spiattellati in giro per il Web, NSA permettendo.

Se da un lato possiamo quindi contare su sistemi di tutela – non dimentichiamoci dell’arrivo dei messaggi a tempo nel canale beta di WhatsApp – che ci danno un minimo di sicurezza sulla segretezza delle informazioni scambiate in chat, dall’altro troviamo un effettivo ostacolo per le forze dell’ordine che fanno fatica a recuperare informazioni in presenza di reati o di indagini in corso.

Ma, grazie al Cloud Act (Clarifying Legalful Overseas Use of Data Act) sottoscritto da USA e UK, le compagnie social operanti sul suolo americano saranno obbligate a condividere messaggi criptati con la polizia britannica. Il nuovo accordo dovrebbe essere operativo a partire dal prossimo novembre, e verrà utilizzato in situazioni di estremo pericolo (indagini terroristiche) oltre che per scovare criminali.

Il Cloud Act è al momento un accordo unilaterale, nel senso che nella situazione inversa gli USA non saranno in grado di utilizzare informazioni ottenute da società residenti sul territorio britannico. A differenza di quanto si parlava in passato circa la volontà dei governi di installare back door nei nostri smartphone – qualche bontempone pensa ancora che sia una cosa fare -, il Cloud Act non permette alle forze dell’ordine di ottenere indiscriminatamente le nostre conversazioni private.

Com’era lecito aspettarsi, Facebook è tutt’altro che entusiasta del nuovo accordo. Secondo l’azienda di Mark Zuckerberg, “le politiche governative come il Cloud Act consentono alle aziende di fornire informazioni disponibili quando riceviamo richieste legali valide e non richiedono alle aziende di costruire backdoor”. Di contro, si può dire che le forze dell’ordine vanno spesso incontro a enormi difficoltà quando richiedono l’accesso ai log delle conversazioni scambiate su Facebook e WhatsApp.