Se l’amministrazione Trump è andata spesso e volentieri a cercare lo scontro diretto con la Cina, come testimonia il caso di Huawei che dal ban del 2019 è stata quasi messa in ginocchio, la nuova amministrazione sembra meglio disposta ai compromessi, soprattutto se relative a provvedimenti ingiustificati. È il caso di Xiaomi, inserita dal tycoon in una blacklist senza però che ci fosse alcun fondamento giuridico su cui basare tale decisione.
Xiaomi sarà rimossa dalla blacklist
Ricostruiamo brevemente la vicenda, che ha avito inizio a pochi giorni dalla fine del mandato di Donald Trump. L’ex presidente degli USA aveva inserito Xiaomi in una blacklist di aziende cinesi caratterizzate da presunti legami con il partito comunista cinese e con l’esercito. A quanto pare però il provvedimento dell’amministrazione americana aveva delle basi poco solide, legate soprattutto a un premio conferito al CEO e co-fondatore Lei Jun.
Il colosso cinese non aveva perso tempo e nel giro di pochi giorni aveva intentato una causa contro i Dipartimenti della Difesa e del Tesoro degli Stati Uniti. In quell’occasione, così come in passato, Xiaomi aveva smentito categoricamente qualsiasi legame con il governo cinese e con l’esercito del proprio Paese.
Il ban nei confronti di Xiaomi avrebbe sostanzialmente impedito a società americane di investire nel produttore asiatico, obbligando i tanti fondi di investimento coinvolti a disinvestire, con conseguenze preoccupanti per il futuro della compagnia. Un paio di mesi fa la corte distrettuale del District of Columbia ha dato ragione a Xiaomi, ingiungendo al Dipartimento della Difesa di rimuovere, almeno temporaneamente, la designazione di CCMC (Communist Chinese Military Company) a carico di Xiaomi.
A distanza di qualche settimana dalla decisione del tribunale americano, Bloomberg riporta la notizia secondo cui le due parti in causa avrebbero trovato un accordo per risolvere il contenzioso senza ulteriori procedimenti processuali. La proposta dovrebbe essere siglata il prossimo 20 maggio, anche se al momento i termini sono sconosciuti.
Xiaomi non ha voluto rilasciare dichiarazioni ufficiali sulla vicenda, così come il Pentagono e anche da parte delle autorità cinesi, solitamente pronte a difendere le proprie compagnie, non sono giunti commenti in merito.