Nelle scorse ore è giunta al termine la lunga causa legale tra Google e Oracle: la Corte Suprema degli Stati Uniti, infatti, ha emesso una sentenza con cui dà ragione al colosso di Mountain View, ribaltando così una precedente sentenza che aveva invece visto trionfare Oracle.

Ricordiamo che questa causa risale all’acquisto da parte di Oracle nel 2010 di Java Sun Microsystems: dopo l’acquisizione, infatti, i nuovi proprietari del linguaggio hanno citato in giudizio Google, sostenendo che l’uso di Java da parte di Android (si parla di circa 11.330 righe del software) li autorizzava a richiedere 8,8 miliardi dollari di attività del sistema operativo e 475 milioni di dollari di potenziali entrate derivanti dalle licenze.

Il tribunale di primo grado, investito della vicenda nel 2016, aveva stabilito che l’uso da parte di Google del codice e delle API Java era stato corretto mentre la US Court of Appeals for the Federal Circuit ha ribaltato la decisione, dando ragione a Oracle.

La Corte Suprema accontenta Google

A distanza di un paio di anni arriva il verdetto finale da parte della Corte Suprema:

La copia da parte di Google dell’API Java SE, che includeva solo quelle righe di codice necessarie per consentire ai programmatori di sfruttare i loro talenti per lavorare in un programma nuovo e trasformativo, è stato un uso corretto di quel materiale secondo la vigente normativa in materia.

Questa vittoria di Google su Oracle arriva dopo che il colosso di Mountain View ha sostenuto che la sentenza del 2018 che gli dava torto avrebbe avuto un impatto di vasta portata sull’innovazione nel settore dei computer e, considerato il numero di aziende e organizzazioni che hanno deciso di presentare memorie a sostegno della posizione di Google, probabilmente erano in tanti a pensarla così.

Grande soddisfazione è stata espressa da Google subito dopo la pubblicazione della sentenza della Corte Suprema mentre dure critiche sono arrivate da Oracle, secondo un cui portavoce la piattaforma del colosso di Mountain View è diventata più grande e il suo potere di mercato maggiore, con conseguente innalzamento delle barriere all’ingresso di nuovi operatori.