Il procuratore generale del Texas ha annunciato ieri un’azione legale contro Google, accusata di comportamento anti concorrenziale per quanto riguarda la propria attività legata all’advertising sul web.

Tra le tante accuse lanciate ce n’è una che si basa su una teoria del complotto che da tempo circola in Rete, secondo cui nel 2015 ci sarebbe stato un accordo segreto tra Google e Facebook. Nelle 57 pagine dell’accusa c’è anche un passaggio, con molte sezioni oscurate, nel quale è chiara, e pesante, l’accusa di un accordo esclusivo tra i due colossi della tecnologia.

Si tratta di un’affermazione a dir poco azzardata, stando a quanto sappiamo del funzionamento di WhatsApp. La nota app di messaggistica istantanea utilizza infatti la crittografia di tipo end-to-end, quindi non ha una gestione centralizzata dei messaggi, come accade ad esempio per Gmail, per cui è impossibile che Facebook possa accedere ai messaggi privati degli utenti, e tantomeno che possa averne concesso l’utilizzo a Google.

La spiegazione più logica è che il procuratore generale si riferisca ai backup effettuati su Google Drive, salvati in chiaro e non protetti dalla crittografia. Si tratta però di dati salvati volontariamente dall’utente ma non siamo di fronte a un accordo esclusivo, visto che anche iOS consente di salvare le chat su iCloud.

E Google, dal canto suo ha già chiarito in passato la situazione relativa ai dati salvati dagli utenti, per bocca del CEO Sundar Pichai: “Non vendiamo le vostre informazioni a nessuno, e non utilizziamo le informazioni nelle app, dove archiviate i vostri contenuti personali, come Gmail, Drive, Foto e Calendario, per scopi pubblicitari. Punto“.

Difficile dunque capire quale sia la strategia che ha portato il Texas a muovere queste accuse pesanti, anche se le indagini sono proseguite per mesi e potrebbero aver portato alla raccolta di informazioni che non sono ancora state rese pubbliche.

Tuttavia la redazione caotica del documento e la confusione che ruota attorno al caso non contribuiscono a chiarire la fondatezza delle accuse. Di sicuro si tratta di un allarme che non va ignorato, ma che va contro a tutto quello che sappiamo di WhatsApp e del suo funzionamento.

Starà ora al procuratore generale del Texas produrre le prove a supporto della propria accusa, ma per il momento sembra che si sia limitato a sganciare la bomba senza però preoccuparsi di avere troppe prove a sostegno.