Google ha adottato una buffa strategia: “se Oracle riesce a dimostrare che c’è un’infrazione di qualche tipo, allora ci offriamo di pagare una percentuale dei nostri guadagni”. Potrebbe sembrare che Google sia ammattita, ma in realtà la mossa ha un suo perchè: durante le udienze preliminari svoltesi in questi mesi, solo due brevetti sono rimasti ad Oracle, la cui posizione è andata via via peggiorando. Il brevetto US RE38,104 e il brevetto US 6,061,520 sono gli unici sopravvissuti, che rendono molto più difficile l’offensiva della società di Larry Ellison sul fronte brevettuale. Google ha anche proposto di pagare 2.8 milioni di dollari per qualunque precedente infrazione di tali brevetti, coprendo così anche il passato con la proposta di accordo.

La cosa ancora più curiosa è che Oracle non potrà trarre grande vantaggio da uno dei due brevetti: la validità del brevetto 104 scadrà a Dicembre, lasciando Oracle senza un’importante arma. Per questo motivo Google offre lo 0.015% dei propri introiti derivanti da Android per il brevetto 520, mentre offre lo 0.5% per il brevetto 104. Numeri relativamente piccoli, vista la posta in palio, ma con una postilla: non è stato definito cosa sia il “guadagno derivato da Android”, visto che tecnicamente Android è gratuito. Si suppone, quindi, che sia implicitamente stato fatto un collegamento con i guadagni derivanti dalla pubblicità su dispositivi Android.

La risposta di Oracle è, come è lecito attendersi, un fermo “niet”: secondo la compagnia di Redwood Shores, California, i numeri proposti da Google “sono inferiori di quelli che Oracle ritiene appropriati”. Viste le richieste di 6 miliardi di dollari avanzate in passato, la cosa non stupisce: qualunque proposta avanzata da Google sarebbe considerata troppo bassa. D’altronde, la stessa Oracle ha abbandonato lo scopo iniziale di dimostrare che Google infrange i brevetti: da un po’ di tempo a questa parte, l’attenzione è passata sul copyright, visto lo scarso successo riscosso sull’altro versante. A questo punto non resta che attendere l’inizio del processo, che avverrà il 16 Aprile. Nel frattempo forniremo ancora qualche dettaglio di cui non vi abbiamo ancora parlato, ma che dà un’idea della situazione attuale e di ciò che è lecito attendersi da questo processo.

Per il momento, Oracle si è vista portare via la maggior parte delle armi a sua disposizione – tra brevetti dichiarati invalidi, accuse respinte in partenza dai giudici ed evidenti errori commessi durante questi mesi – ed ha rifiutato quella che è probabilmente la migliore offerta che potesse ricevere. Secondo la mia opinione, la proposta di Google è anche migliore di quello che sarà il verdetto finale: finora la corte ha dimostrato di essere abbastanza avversa ad Oracle, forse per la sua avidità e per il suo comportamento da “io ho ragione a priori, e voi dovete riconoscerlo”. Un comportamento infantile che è evidente nell’enorme mole di accuse presentate all’inizio del processo  – più di 130! – e poi dissoltesi nel nulla grazie all’intervento del giudice. La situazione non è delle più rosee per Oracle, che potrebbe vedersi sconfitta e caricata dei costi legali: il famoso detto “oltre al danno, la beffa” si applicherebbe benissimo in questo caso.

L’arroganza di Oracle potrebbe finalmente avere una fine, e speriamo che arrivi presto. Speriamo anche, però, che Google riconosca i suoi errori e impari da ciò che è stato.